giovedì 9 luglio 2009

Complessita` e impersonalita`

mazapegul

Parlavo con un trentino che studia genetica in Scozia, che dice di non saper nulla di matematica e di usare molta statistica per il suo lavoro. "Ma avrete fatto corsi di probabilita` e statistica," obietto. "No, mettiamo i numeri che otteniamo nel computer e lui fa tutto." Mi chiedo: come interpreta questo ragazzo i numeri che il computer gli restituisce?
Non e` importante: un gruppo di ricerca in genetica spesso e` composto da una moltitudine di persone con le competenze piu` disparate: ci sara` un membro del gruppo che si occupa di interpretare le statistiche elaborate da altri.

Questo stato di cose e` piu` generale. Molte imprese scientifiche hanno raggiunto dimensioni tali che nessuno dei partecipanti al progetto riesce a controllarne, non dico tutti i dettagli, ma forse neanche la struttura. E' il Progetto che possiede la conoscenza, non un singolo progettista; foss'anche il capo-progetto stesso.
Nelle ricerche genetiche, in particolare, le procedure per la raccolta e l'elaborazione automatizzata dei dati (le sequenze di DNA e le catene di reazioni chimiche da loro codificate, per esempio: tecnologie in pieno sviluppo) portera` presto a un corpus di conoscenza assai dettagliato, ma accessibile solo da un computer. Le neuroscienze, con le loro applicazioni, sono avviate sulla stessa strada.

5 commenti:

Solimano ha detto...

Màz, questo post sfugge da tutte le parti perché le implicazioni sono tante, dico alcune che sento io.

Prima di tutto, di per sé la faccenda parrebbe semplice: è certamente meglio sapere che sta succedendo così che non saperlo. Ma i capo-progetto non sono dei puri spiriti, sono fatti di carne come noi, e quindi, l'ansia di controllo fa parte conscia o inconscia del loro lavoro. Non ci stanno a sentirsi ontologicamente tagliati fuori proprio dal loro Progetto: è un servo loro, come si permette di tagliarli fuori? Il che vuol dire che sono tutt'altro che disposti ad accettare le implicanze che non si aspettavano.

Poi c'è il problema che certe cose a volte si cerca di non dirle, fuori dal cerchio stretto dello specialismo. Un esempio è quello che si dicono fra loro i biologi e soprattutto qwuelli che si occupano di neuroscienze su un concetto radicatissimo, quello di libertà umana. Per loro la libertà non esiste, come si è sempre intesa: se esiste è figlia del caso. L'arrivo di percezioni non usuali può provocare risposte nuove, inaspettate, quindi, se si vuole essere liberi bisogna sapersi esporre al caso. In fondo, la libertà come figlia della probabilita.

Ma soprattutto. Ricordo lo sgomento quando cominciai ad accorgermi di certi sviluppi dei sistemi operativi e dei data base, raggiuntio così, semplicemente, come due più due fa quattro. In senso non olistico, ma riduzionistico (spero non sciocco, perché esiste eccome anche un riduzionismo sciocco) l'impressione fu che il cervello umano era un cugino di campagna del possibile cervello di un elaboratore.
Scendendo a un minimo dettaglio, faccio fatica a farmi capire quando dico che i film non vanno visti come thriller, horror, comedy, western etc ma seguendo un itinerario di viste logiche: il lavoro, la scuola, la politica, la pittura etc. Una minima applicazione di data base relazionale. Ma sembra che il nostro cervello le inventi tutte pur di non passare dal gerarchico al relazionale.
Nel cervello è contenuta la nostra storia biologica, e dire che c'è il cervello del rettile con sufficienza, quasi fosse un vuoto a perdere, è consolatorio: il cervello del rettile sta lì ed agisce, magari con la maschera furbescamente preparatagli dai due emisferi e dalla corteccia cerebrale. Tutti complici, 'sti cervellotici! Ci vorrebbero de' buoni processi, direbbe il Podestà, ma dove sta il Giudice?

grazie Màz e saludos
Solimano

zena ha detto...

Ho letto e ho pensato a Borges.

Questa sarebbe la trama perfetta per un racconto borgesiano :proliferante, germinativo...
Da un lato la complessità del Progetto, tentacolare, fagocitante e sconosciuto, che piano piano si appropria della 'località' degli apporti particolari e se ne nutre.
Dall'altro tante competenze selezionate e selettive, individue ed individuate, che apportano ma non partecipano, né tanto meno controllano l'insieme...
(un saluto)
zena

annarita ha detto...

Questo argomento è duro e spigoloso. In soldoni non vorrà mica dire che siamo avviati verso una società in cui saremo dominati dalle macchine? Paura!
Salutissimi, Annarita

Amfortas ha detto...

Questi argomenti sono difficili da trattare, perché impongono riflessioni sull'Etica.
Il post mi ha ricordato Huxley e anche Kazuo Ishiguro, che (tra i tanti) hanno affrontato il problema mirabilmente, a mio parere.
Considerando qual è lo scopo primario dell'informazione ai giorni nostri, credo sia meglio che certe cose restino solo per iniziati.
Ciao.

mazapegul ha detto...

Carissimi, la complessita' delle cose umane non e' cosa di oggi. I nostri antenati cacciatori-raccoglitori avevano, ciascuno per suo conto, tutte le conoscenze e le abilita' per sopravvivere; e cosi' quelle lunghe generazioni intermedie di agricoltori-raccoglitori. Con l'agricoltura cambiarono le cose: un umano da solo non va da nessuna parte.
Io sono cresciuto con l'idea che non dovevo sapere tutto, e' impossibile; ma che dovevo almeno essere in grado di seguire la strada che va, a ritroso, da un mio risultato ai principi primi di matematica che s'insegnano alle scuole medie. Anche questa versione limitata di autosufficienza sta per cadere.
Nei grandi progetti scientifici, in particolare quelli di tipo biologico, l'obiettivo all'ordine del giorno e' di riprodurre con tutti i dettagli un qualche pezzo assai complesso della realta': un genoma, una rete di neuroni,... Si tratta di quantita' d'informazione (anche qualitativa, non solo quantitativa come lo sono i magazzini di dati) che vanno al di la' delle possibilita' di conoscenza di ogni songolo individuo. Di qui la riflessione, che non e' pessimistica, ma fiduciosamente critica.

Borges aveva gia' descrittl la situazione in un racconto su una mappa perfettamente dettagliata del territorio. La mia conclusione non e', come in Borges, che la mappa sia alla fine inutile. Solo che, come suggeriva Borges, che sia una forma di conoscenza particolare; non la conoscenza di cui parlavano i greci.
Maz