lunedì 9 giugno 2008

La folie à deux

Mi ha fatto riflettere un commento di Barbara sul post di Silvia contro la violenza sulle donne. Lo riporto qui in parte, togliendo certi aspetti di personalizzazione, mi interessa il discorso generale:

"Era una mia amica più grande di me. Io ero una ragazzetta di circa diciotto anni, lei ne aveva venticinque ed era "fidanzata a casa", come si dice da queste parti. Ogni tanto notavo i lividi, e conoscendo il tipo immaginavo di cosa si trattasse.
...
Però c'è una cosa che mi ha sempre colpito e che non mi sono mai spiegata.
Lei non ha mai parlato di lui con paura, con angoscia o sottomissione o tutti quei sentimenti che ci si può immaginare in queste situazioni.
Lei era appassionata, difendeva con forza l'indifendibile, giustificava a testa bassa quella che tutti definivano blandamente "irascibilità", insomma, gli era devota.
E per quanto riguardava tutte le cose negative, era certa di poterle cambiare.
...
La paura l'avrei capita, il fervore no
."

Aggiungo una storia apparentemente molto diversa che mi è capitato di conoscere bene. Utilizzo nomi di fantasia.

Rebecca (studentessa di Lettere) e Fabrizio (studente di Ingegneria) erano una coppia singolare. Tutti e due di convinzioni cattoliche, filavano da più di un anno, ma ogni quattro mesi c'era una crisi: Rebecca diceva a Fabrizio che non lo amava più e che aveva deciso di lasciarlo. Fabrizio, per la disperazione, andava da un muro all'altro, non studiava, non dormiva, le solite robe che avete provato o di cui avete sentito parlare. Dopo quindici giorni tornavano a filare, come se non fosse successo niente. La cosa si ripeté diverse volte. Come finì? Tutto si era aggiustato, avevano fissato la data del matrimonio, spedito le partecipazioni, comperato le bomboniere... e Fabrizio lasciò Rebecca, da un giorno all'altro, definitivamente.

Cosa c'è in comune, fra le due storie?
Un fatto di cui noi spesso noi non teniamo conto, ma che è stato scoperto diversi anni fa: la reazione di doppio legame che si crea spesso in una coppia, chiamata dai francesi folie à deux. Per affrontare queste tipologie, molto diffuse, serve a poco l'approccio intrapsichico freudiano, occorre la prospettiva relazionale, sviluppata dalla scuola di Palo Alto in California nei due libri magistrali "La pragmatica della comunicazione umana" e "Change". Il film "Chi ha paura di Virginia Woolf" (1966) di Mike Nichols si basa sul testo di Edward Albee, del tutto coerente con la prospettiva relazionale di Palo Alto. Molti cinefili non se ne sono nemmeno accorti. Questo film, al nostro corso capi, veniva proiettato e discusso per più di quattro ore, fermando la proiezione ogni cinque minuti.
Mike Nichols fu molto furbo: con questo film divenne famoso (grazie ad Albee, alla Taylor e a Burton) e capitalizzò il successo l'anno dopo con "Il laureato", un gradevole film che però diceva le cose che gli spettatori volevano sentirsi dire.
Difatti i dati IMDb sono impressionanti:
"Chi ha paura di Virginia Woolf" votanti 15.000 giudizio 8.1
"Il laureato" votanti 63.000 giudizio 8.2

Queste persone si cercano fra di loro, e finisce, ahimè, che si trovano. Chissà, il cosiddetto colpo di fulmine sorge proprio così. Stateve accuorti!
28 febbraio 2009

P.S. Nelle immagini, naturalmente Elizabet Taylor e Richard Burton in "Chi ha paura di Virginia Woolf".


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