sabato 20 giugno 2009

Amare sorprese

sabrinamanca

In principio era una stalla. Ci stavano l'asino e qualche pecora.
Poi mia nonna la lasciò a due delle sue figlie, mia madre e mia zia. Divenne per le famiglie di entrambe la casa in paese della domenica.
Si partiva presto dalla città con le bistecche, il lardo, il pane, la pasta e il sugo.
Appena arrivati mio padre andava a prendere la legna per accendere il caminetto mentre mia madre riordinava un po' e preparava per il pranzo.
Io e mia sorella andavamo dagli zii e nostra cugina oppure facevamo un giro per l'unica lunga strada del villaggio, dopo la messa, s'intende.
La chiamavamo casa ma ne era a stento una. Due stanze di tufo che definire umide è spudorata lusinga. Nel soggiorno il caminetto mandava più fumo dentro che fuori malgrado i numerosi interventi dell'esperto del paese. Nella stanza il braciere lasciava un puzzo che ci faceva tossire e pizzicare gli occhi per quasi tutto il tempo e ci bruciava il davanti delle gambe mentre le spalle restavano gelate.
D'estate si stava molto meglio, al punto che cominciammo a trascorrerci molto tempo, a trasferirci da giugno a settembre.
Vennero i miei diciott'anni e mi stancai di stare in famiglia tutto il tempo, di dormire in quattro in una stanza, di andare in giro con mia cugina.
Poi ci venne l'idea di venire ad abitare in paese, proprio nello stesso terreno, separati solo da una vallata.
La vecchia e la nuova casa di fronte, separate da una distanza di rispetto.
Mio zio, il più giovane della famiglia, ci visse diversi anni, e ci morì, in questa casetta. Ci visse felice, ci morì d'infarto proprio in un momento in cui aveva una donna dalla quale voleva un figlio e con cui cercava una nuova casa, da comprare, dopo aver supplicato inutilmente mia madre di venderle il terreno e la casetta insieme.
Poi venni io. Ci vissi estate ed inverno per qualche anno. Ci feci dei lavori, cercai di riscaldarla perché l'inverno era davvero molto duro.
Quando andai via dalla Sardegna quella casetta fu uno dei miei grandi rimpianti. Ci avevo vissuto anni importanti.
Da qualche anno cerco di tornarci d'estate con la mia famiglia. Il mio compagno se n'è innamorato, come me. Eppure a vederla, non le si darebbe un soldo.
Una vecchia stalla mezzo intonacata, di fronte un pino marino e dietro un ulivo. La strada è vicina ma nascosta. La vallata e il suo tramonto il bene
più prezioso, insieme con il silenzio o, come disse un giorno un'amica cittadina, il chiasso della campagna.
Quest'anno ho avuto però un'amara sorpresa al mio arrivo. Accanto alla casa al confine con la nostra, stanno costruendo un insieme di villette a schiera.
Mi correggo: un alveare.
La casa dei vicini che anche lei godeva di una magnifica vista sulla valle avrà fra qualche mese delle finestre a non più di dieci metri di distanza.
Noi tutti formeremo un vicinato più brulicante di un formicaio.
Finita la pace, finita la solitudine. Finita a causa delle solite storie di licenze edilizie date ad amici di chi gestisce il paese. Un piccolo paese che sindaca sul colore delle tombe in cimitero ma si espande senza alcuna logica che quella dei proventi delle concessioni edilizie.
Quest'estate sarà l'ultima estate in questa casa che ha una storia importante, almeno ai miei occhi. La storia di diverse generazioni che hanno apprezzato la sua umiltà, la sua forza.
Ecco perché comincio questa mia estate con un nodo alla gola.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Ci credo , cara Sabrina, che tu abbia un nodo in gola. Sono mondi che scompaiono, mondi cancellati dalla speculazione, da un turismo irresponsabile.
I miei nonni avevano una casa in Calabria in cui sono stata poche volte, ma ogni volta ho portato com me ricordi "magici". Poi lì ci ha pensato la mafia a distruggerla, perchè la voleva comprare. E' un'altra storia da raccontare e una volta lo farò.
Un abbraccio.

Giulia

Habanera ha detto...

Una casa che si è amata diventa parte di noi ed è insopportabile che ce la portino via. Nel tuo caso non sono le mura che ti stanno rubando ma l'anima stessa della tua casetta, il suo silenzio, il suo panorama, la sua unicità.
Ti capisco, Sabrina, ne soffrirei molto anch'io.

Un abbraccio affettuoso
H.

Silvia ha detto...

Mi dispiace molto perchè ritengo i luoghi del cuore importanti come gli affetti e le persone. Per cui so che è perdita pesante.
Un abbraccio forte.

Io spero di trovare un luogo prima o poi, com'era la tua casa, dove vivere gli ultimi anni della mia vita.

p.s.Guarda, che tu lo sai fare, oltre il calcestruzzo e le betoniere. C'è sempre lei coi suoi colori e profumi d'incanto.

Gioacchino ha detto...

Ciao, Sabrina. Condivido la tua pena, anche se vivo in città 365 giorni all'anno, in mezzo al traffico e ad altre inimmaginabili brutture. Nelle rare volte in cui viaggio, anche solo per raggiungere qualche paese della provincia, i miei occhi sono incollati al finestrino, la mia concentrazione tutta tesa a individuare casette come la tua, lontane e solitarie, apparentemente irraggiungibili. Oppure guardo, con desiderio e commozione, i molti ruderi antichi, rifugi di pastori, cascine e vecchi bagli, case abbandonate e spesso diroccate che testimoniano le differenze enormi tra il nostro modo di vivere e quello dei nostri antenati. L'altro giorno dicevano su Rai Tre, a Report, che la proliferazione di zone residenziali è immotivata, perché sono molto di più le case disabitate che le persone in cerca di un tetto. Nei miei viaggi guardo anche, con tristezza, gli "alveari" costruiti, innestati come palme in Groenlandia, a ridosso di stupende vallate, letti di fiumi, cime di colline: orrendi sfregi nel paesaggio e nella vita, sana e regolata, degli uomini di oggi e di ieri.
Gioacchino

Solimano ha detto...

Ho cambiato spesso città, quindi tendo a non affezionarmi alle singole case. Ne ho avuto sempre una sola: quella in cui vivere.
Ma non mi sento uno sradicato, penso che più sono le radici più possono essere le foglie. I ricordi non sono in quattro muri, ma sono nel nostro cervello e lì non li possono distruggere, se impariamo l'arte non difficile di tenerli freschi nel presente.
Certo il cattivo gusto edificatorio infierisce dovunque, ma, ad esempio, in Emilia basta andare verso l'Appennino per trovare a pochi chilometri tanti posti intatti... e tanti posti nuovi, soprattutto. Qui a Monza sto benissimo, come a Bologna, Fiorenzuola d'Arda, Parma, Verona, Roma, Desenzano-Sirmione, Udine, Trieste, ancora Parma, Milano, ancora Desenzano-Sirmione, ancora Milano e... Monza. Non sono tante fette di una torta, sono tante torte. Quando ci si porta appresso sé stessi si sta bene dappertutto (anche male, succede). Quindi è meglio essere curiosi che nostalgici, nei posti che amiamo bastano pochi secondi per arrivarci. Il difficile è più nelle persone che nei posti, questo sì.

grazie Sabrina e saludos
Solimano
P.S. E i posti dove sono andato in viaggio per turismo o per lavoro?
E i posti dei libri?
E i posti del cinema?
E queste Stanze all'aria non sono un posto? Anzi, tanti posti...

sabrinamanca ha detto...

Primo: sono d'accordo in parte poiché esiste anche la rappresentazione del ricordo che aiuta e stimola i ricordo stesso. E quella casa ha rappresentato molto per diverse generazioni della mia famiglia, e in maniera diversa per gli uni e gli altri. L'amore per questo luogo ci ha unito quando altre situazioni ci dividevano. Ecco perché questo attaccamento da parte di una come me, che non si lega facilmente ai luoghi o le cose. Alle persone, si'!
Gioacchino: ho visto anche io come te Report e pensavo che le vittime della costruzione selvaggia fossero solo le grandi città; non pensavo che si potesse fare lo stesso in un paesino!
Giulia, Haba e Silvia, sapevo che avreste capito...

Gioacchino ha detto...

Paradossalmente, la fuga dal caos delle città sta trasformando zone una volta "incontaminate" in città in miniatura, trapiantandovi del modello urbano, soprattutto gli aspetti negetivi.

Barbara Cerquetti ha detto...

Io invece, con le case della mia esistenza, ho un rapporto di insofferenza. Fosse per me le raderei tutte al suolo. Non temo i cambiamenti e non mi affeziono ai posti, ma posso capire come ci si sente a chi capita.

Quando ero piccola costruirono un palazzo nel campo di peri (l'albero che fa le pere si chiama pero, vero?)dove andavo sempre a giocare e a fare merenda (direttamente dal ramo alla pancia, una meraviglia). Per me fu una tragedia, soprattutto perchè da bambini queste cose prendono contorni epici.
Poi nel palazzo ci andò a vivere una bambina che per qualche anno fu la mia amichetta del cuore.
Quando si dice gli scherzi del destino.

Anonimo ha detto...

cara Sabrina, le case sono nodi di memorie e di vita, intrecci forti. Non a caso, fra le piccole che scrivo, quelle che sento più care portano il nome di Pareti, perchè nascono all'interno della mia vecchia casa, la casa grande, che era un modo di vivere la famiglia, di vedere il tramonto, di godere i sapori, di imparare le parole, che spesso nascevano in contaminazione con le attività,dai formaggi alle stoffe.
'A son cagià' (sono cagliato, per dire 'sono stanco'), l'ho ascoltato solo a casamia.

Un abbraccio
zena

Anonimo ha detto...

'fra le piccole cose che scrivo': ho mangiato una parola.
scusa.
z.