martedì 19 maggio 2009

Sana e robusta costituzione?

Solimano

L'altra sera al Binario 7, c'è stata la quarta conferenza organizzata da NOVALUNA. Nelle precedenti, hanno parlato Vittorio Zucconi, Roberto Osculati, Fabio Isman. Ne ho già raccontato qui. Stavolta è toccato a Giovanni Sabbatucci, professore ordinario di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma e a suo tempo allievo di Renzo De Felice.
Uno storico così c'è solo da ammirarlo, e ne spiego un motivo, fra tanti altri. Uno storico vero non deve essere un fazioso, ma neppure un super partes. E' essenzialmente uno che scava non per schierarsi, ma per capire e per farci capire. Deve essere lucido, lucidissimo, fino a sfiorare la freddezza, ma senza attingerla, perché dentro ad uno storico vero c'è una grande passione di tipo intellettuale.
Quando uno dei presenti ha lodato il Risorgimento, ho visto un lampo di ironia negli occhi di Sabbatucci, che ha scritto dei saggi sul rapporto fra irredentismo e nazionalismo.
Così, quando ha raccontato la storia dell'Art. 1 della Costituzione: "L'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro." Che il lavoro fosse all'inizio della Costituzione stava a cuore per ragioni differenti alle due forze che dettero il maggior contributo alla Costituzione: Democrazia Cristiana e Partito Comunista. Togliatti voleva che si scrivesse di repubblica dei lavoratori, Fanfani trovò l'abile escamotage della repubblica fondata sul lavoro, che mise tutti d'accordo.
Sabbatucci è critico su questa scelta di fondamento, ma non per i motivi addotti da una certa destra che vorrebbe mettere l'impresa al posto del lavoro. E' critico perché ci sono dei diritti primari che debbono riguardare tutti, non solo chi lavora. Il che ha ingenerato una discussione assai cortese, salvo il sottoscritto che ha asserito con faccia tosta convinta che la dizione esatta sarebbe... fondata sul lavoro e sul tempo libero. D'altra parte, il tempo può essere libero oppure schiavo, cosa che succede se uno è costretto a lavorare. Sanno tutti della mia componente non provocatoria ma provocante: mi ascoltano pazientemente.
A qualcun altro sembrava che a togliere il lavoro dall'Art. 1 gli mancasse il respiro, e Sabbatucci ha detto: "Guardi che ci hanno già provato, col lavoro obbligatorio per tutti. E' finita con i campi di lavoro coatto".
L'impostazione di Sabbatucci è schietta: una Costituzione, per reggere nel tempo, deve essere breve e non scendere in argomenti che col tempo cambiano e occorrono modifiche. Ha aggiunto che a fare una Costituzione bellissima non ci vuole molto, basta scriverla: la Costituzione più tecnicamente bella che conosce è quella dell'USSR nel 1935, con Stalin. Mentre Hitler non abrogò la bella Costituzione che trovò qundo andò al potere: se ne fregò, semplicemente. In duecento anni, gli americani hanno fatto una Costituzione, i francesi sedici, e ci sarà un motivo.
Ultima cosa (ma ce ne sarebbe da dire!): perché la nostra Costituzione si basa su poteri e contropoteri? Il motivo è semplicissimo. Le forze egemoni erano tre: DC, PSI, PCI. Quelli del PSI, che allora aveva più voti del PCI, non dettero un grande contributo. I due partiti DC e PCI cercavano una assicurazione valida nel caso di sconfitta nelle elezioni politiche successive. Così nacquero una serie di contropoteri, alcuni utili, altri inutili, altri ancora dannosi.
Sopra queste forze egemoni aleggiavano i Liberali che pensavano ingenuamente che sarebbero stati comunque loro, ad avere il mestolo in mano. Ebbene no, non fu così.

P.S. Le immagini. Gioco semplice, per questa volta: tre immagini dal film "Una vita difficile" (1961) di Dino Risi. Ampliatele, è meglio.
In quella in alto, Elena Pavinato (Lea Massari) viaggia sulla Topolino del giornale precario dove lavora il suo convivente Silvio Magnozzi (Alberto Sordi). Il giornale si chiama "Il lavoratore".
In fondo, due immagini della cena di Elena e Silvio a casa dei monarchici, la sera in cui vengono comunicati dalla radio i risultati del referendum repubblica-monarchia.

Elena e Silvio sono molto affamati e sono stati invitati perché senza di loro sarebbero stati in tredici a tavola.



4 commenti:

Barbara Cerquetti ha detto...

Sabbatucci! Quanto c'ho penato sulla sua Storia contemporanea (quello con Vidotto)! Salvo poi rimuoverla dalla testa con feroce contentezza dopo aver concluso l'esame. Della serie "con questa roba non voglio più averci niente a che fare!!!". Poi però ti accorgi che una cosa, dopo che l'hai studiata tanto, non è semplice rimuoverla. Puoi cancellare le date, puoi confondere un pochino le successioni o annebbiare i dettagli, ma il nocciolo ormai sta lì. Con la storia è così e con la filosofia ancora peggio, perchè anche se non ti ricordi più niente di quello che hai studiato, il tuo modo di ragionare è ormai mutato per sempre.

Sulla Repubblica fondata sul lavoro invece, ok sul lavoro ( a me piace lavorare, avercene di lavoro!), è sulla Repubblica che c'ho qualche dubbio.

Anonimo ha detto...

Sinceramente non ho capito bene perchè critico su "fondata sul lavoro" e quale sarebbe la sua idea.
Mi rendo conto che certe idee sono radicate dentro di noi e che è difficile scardinarle dopo averle avute come riferimento per tutta una vita. Mi piacerebbe sapere però cosa dice in alternativa alle sue critiche.

Solimano ha detto...

Barbara e Giulia, noi tutti stiamo andando avanti sulla base di un imprintig culturale che ci è stato trasmesso fin da bambini piccoli.
Vi invito a riflettere sul nostro piccolo gruppo: qual'è la vera centralità della vita di Barbara, di Màz, di Sabrina? E di Habanera? E di Roby? E di Silvia? E potrei dire di tutti, ho fatto solo i nomi di chi ha raccontato di più della propria vita quotidiana, fra figli, nipoti e vecchi. E tutti a dire: ah il volontariato, il terzo settore! Ma quale terzo settore, è fortunatamente la priorità reale per la propria autorealizzazione nella vita.
Guardate che il mio non è un discorso moralistico, di bene bravo bis, ma un discorso di fatti reali.
Dietro la repubblica dei lavoratori di Togliatti c'era il mito marxiano, dietro la repubblica fondata sul lavoro di Fanfani c'era il mito del lavoro come condanna biblica. Due miti falliti.
Negli ultimi vent'anni, tanto è cambiato sul lavoro: il gap fra disoccupati ed occupati si è allargato e la qualità reale e psicologica del lavoro è scesa. Le persone si spostano come se fossero merci, ma le persone non sono merci.
Non sono un utopista e sono lontano dalle posizioni dei Cobas e robe del genere, dico che l'essere attivo, curioso, fattivo è tipico dell'essere umano come tale, il lavorare a bottega (anche fosse la propria) è una necessità imposta dalle circostanze, che stanno cambiando. Il lavorismo è, come dice giustamente De Masi, un vizio moderno.
Ma ci tornerò, perché la situazione sta finalmente diventando evidente: lo sanno, lo sanno, che se non si cambia registro il futuro è protervo, ma non lo dicono, perché non sanno come dirlo. Però guardate la differenza in due film sul lavoro: "Tutta la vita davanti" di Virzì è un gradevole piccolo film in fondo moralistico (la colpa è del padrone cattivo), "American Beauty" di Mendes mette risolutamente i piedi nel piatto dei problemi veri.

grazie e saludos
Solimano

annarita ha detto...

Sia la repubblica dei lavoratori che quella fondata sul lavoro hanno mostrato abbondantemente la corda. E io non credo che sappiano ma non dicano perché non sanno come dire. In taluni personaggi io continuoa vedere la protervia, quella sì che la vedo, dell'egoismo, del menefreghismo, dello statu quo più becero che fa comodo a pochi, pochissimi e molto scomodo a tanti, tantissimi. E c'è chi gioca sul filo di rasoio della bugiarda interscambialità tra flessibilità e precariato.
Salutissimi, Annarita