Solimano
L'altro giorno mi ha fatto riflettere un commento di Barbara sul post di Silvia contro la violenza sulle donne. Lo riporto qui in parte, togliendo certi aspetti di personalizzazione, mi interessa il discorso generale:
"Era una mia amica più grande di me. Io ero una ragazzetta di circa diciotto anni, lei ne aveva venticinque ed era "fidanzata a casa", come si dice da queste parti. Ogni tanto notavo i lividi, e conoscendo il tipo immaginavo di cosa si trattasse.
...
Però c'è una cosa che mi ha sempre colpito e che non mi sono mai spiegata.
Lei non ha mai parlato di lui con paura, con angoscia o sottomissione o tutti quei sentimenti che ci si può immaginare in queste situazioni.
Lei era appassionata, difendeva con forza l'indifendibile, giustificava a testa bassa quella che tutti definivano blandamente "irascibilità", insomma, gli era devota.
E per quanto riguardava tutte le cose negative, era certa di poterle cambiare.
...
La paura l'avrei capita, il fervore no."
Aggiungo una storia apparentemente molto diversa che mi è capitato di conoscere bene. Utilizzo nomi di fantasia.
Rebecca (studentessa di Lettere) e Fabrizio (studente di Ingegneria) erano una coppia singolare. Tutti e due di convinzioni cattoliche, filavano da più di un anno, ma ogni quattro mesi c'era una crisi: Rebecca diceva a Fabrizio che non lo amava più e che aveva deciso di lasciarlo. Fabrizio, per la disperazione, andava da un muro all'altro, non studiava, non dormiva, le solite robe che avete provato o di cui avete sentito parlare. Dopo quindici giorni tornavano a filare, come se non fosse successo niente. La cosa si ripeté diverse volte. Come finì? Tutto si era aggiustato, avevano fissato la data del matrimonio, spedito le partecipazioni, comperato le bomboniere... e Fabrizio lasciò Rebecca, da un giorno all'altro, definitivamente.
Cosa c'è in comune, fra le due storie?
Un fatto di cui noi spesso noi non teniamo conto, ma che è stato scoperto diversi anni fa: la reazione di doppio legame che si crea spesso in una coppia, chiamata dai francesi folie à deux. Per affrontare queste tipologie, molto diffuse, serve a poco l'approccio intrapsichico freudiano, occorre la prospettiva relazionale, sviluppata dalla scuola di Palo Alto in California nei due libri magistrali "La pragmatica della comunicazione umana" e "Change". Il film "Chi ha paura di Virginia Woolf" (1966) di Mike Nichols si basa sul testo di Edward Albee, del tutto coerente con la prospettiva relazionale di Palo Alto. Ma molti cinefili non se ne sono nemmeno accorti. Questo film, al nostro corso capi, veniva proiettato e discusso per più di quattro ore, fermando la proiezione ogni cinque minuti.
Mike Nichols fu molto furbo: con questo film divenne famoso (grazie ad Albee, alla Taylor e a Burton) e capitalizzò il successo l'anno dopo con "Il laureato", un gradevole film che però diceva le cose che gli spettatori volevano sentirsi dire.
Difatti i dati IMDb sono impressionanti:
"Chi ha paura di Virginia Woolf" votanti 15.000 giudizio 8.1
"Il laureato" votanti 63.000 giudizio 8.2
Queste persone si cercano fra di loro, e finisce, ahimè, che si trovano. Chissà, il cosiddetto colpo di fulmine sorge proprio così. Stateve accuorti!
P.S. Nelle immagini, naturalmente Elizabet Taylor e Richard Burton in "Chi ha paura di Virginia Woolf".
sabato 28 febbraio 2009
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11 commenti:
Caro Solimano,
io mi sono un po' persa.
Non ho visto il film.
Non ho letto i libri che citi.
Non conosco il francese
(che scarsa che sono!)
Che vuoi dire? :-)
"La reazione di doppio legame" non è la cosa piùsemplice da capire, Solimano. Ha ragione Barbara... Io ho studiato la psciologia sistemica e forse ho capito cosa vuoi dire... Ma meriterebbe che la non dessimo per scontato che tutti studiano le stesse cose. Barbara, davvero con queste domande sincere spontanee dai un bel contributo. A volte facciamo finta di capire. No, tu vuoi capire ed è davvero oggi un atteggiamento rivoluzionario. Allora, Solimano a gentile richiesta spiega meglio...
:-)
Un carissimo saluto, Giulia
Cercherò di chiarire meglio in un futuro post.
saludos
Solimano
A volte, come in questo
caso, le tue raccomandazioni rimangono inascoltate :-)
Sai Solimano, anche io non potrei usare i termini che hai usato perchè non li conosco, però credo di aver capito ciò che hai scitto. Sul doppio legame non so nulla e mi piacerebbe saperne bene perchè credo che condizioni molti rapporti di coppia.
Sarebbe importante capire i meccanismi per cui molte persone sono attratte da coloro che le fanno soffrire, al di là di una semplice considerazione sul loro evidente masochismo. E' ovvio che cè molto di più, forse sensi di colpa, bisogno di misurare la propria capacità di relazione, il bisogno di andare oltre se stessi, la convizione di poter mutare qualcosa e non ultimo, per me,la certezza che un amore così sofferto è Amore vero, creando questo infernale rapporto vittima-carnefice in una alternanza continua e autodistruttiva.
Ho conosciuto persone che a mio avviso hanno vissuto relazioni così.
Una volta liberatesene, non sono più state in grado di innamorarsi di nuovo, lasciando naufragare relazioni importanti, bellissime persone ma che non avevano, per fortuna loro, questo alone di "unicità" per cui in nome di quell'Amore,tutto era lecito.
Anche la morte.
Attendo con ansia post illuminante:)
Io mi trovo nella situazione di Barbara, a parte il fatto che il film l'ho visto. Pur non capendo appieno il "legame doppio", ma forse l'ho intuito, credo che quello che dice Solimano spieghi come mai il film fosse così disturbante e sgradevole, nella sua grandezza.
Neppure io ho capito questa storia del doppio legame, però mi è venuta in mente una conoscente che sopportava stoicamente i tradimenti e le percosse del marito in nome della sacralità del matrimonio, in ciò sostenuta dal parroco. Per quella donna accettare una situazione così pesante era come una croce da portare per amore di Dio mentre io allibita non riuscivo a capire dove fosse la sacralità di un matrimonio del genere.
Proprio ieri sera, sul tardi, ho visto "Un giorno in pretura" su Rai3, dove era narrata la storia della signora Santina, che nel profondo sud, dopo 23 anni di violenze subite dal violento marito, alla fine lo uccide -con rara ferocia- a padellate d'olio bollente. Il pubblico ministero, una donna giovane e settentrionale, si stupiva proprio di quei decenni trascorsi nella più assoluta sopportazione, senza neppure una denuncia per maltrattamenti o una telefonata al 113.
Attendo anch'io, Solimano (stuzzicante come sempre!)
Roby
Ho l'impressione che al di là della conoscenza o meno della teoria (e della pratica, perché questa è roba pratica), avvertiate tutti la stranezza di certe situazioni con una cronicità di anni. Però il ragionamento abituale è quello intrapsichico: quella persona è masochista, quell'altra violenta etc. Quindi vi anticipo uno degli assiomi della Scuola di Palo Alto (che era soprattutto un ospedale):
non si può non comunicare.
saludos
Solimano
Ho visto anch'io Roby la trasmissione, se posso la seguo sempre. Io l'avrei assolta, la vittima è ovvio che è lei, e a padellate ci avrei preso il pubblico ministero, che ha fatto il suo mestiere, però...
Il morto forse era un malato di mente, se il medico avesse fatto un tantino il suo mestiere...
In realtà mi ha sconvolta l'assoluta omertà. Tutte le colleghe, le amiche, tutte a dichiarare che le volevano bene e che in 23 anni non hanno mai chiamato il 113, o fatto cenno ai servizi sociali. Comprendo la paura ,ma alla fine il morto c'è scappato ugualmente e lei si è fregata la vita un'altra volta.
Il medico di famiglia poi, mi è sembrato un mistero vero.
E' evidente
Il doppio legame, di cui è evidente che non ho capito una ceppa, comincia dall'incomunicabilità. O no?
Attendotti:)
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