venerdì 12 dicembre 2008

Morti sul lavoro ed altri caduti

sabrinamanca

La puntata di Ballarò dedicata al primo anniversario degli operai morti a Torino nella fabbrica della Tyssenkrupp mi ha particolarmente toccato. Ha centrato dei punti cardine su ciò che rappresenta la morte di un nostro caro al di là di ogni retorica e sentimentalismo.
Ad ogni moglie o madre o sorella è stato chiesto di raccontare come è cambiata la sua vita da quel giorno e queste persone, con coraggio, hanno parlato.
La morte è un’ingiustizia alla vita, arriva sempre troppo presto o troppo tardi, troppo tempestiva o troppo lenta, colpisce nel luogo o momento sbagliato.
Alla morte, che arriva puntuale, non si è preparati, mai.
Quando un nostro caro muore inoltre, i delicati equilibri su cui la famiglia si compone vengono ad infrangersi mandando i suoi membri almeno temporaneamente in orbita, e in orbita si sa, ci si allontana un po’ tutti.
Ecco allora che invece di rinsaldare i legami, questo evento li spezza, sentiamo una donna, madre e nonna, raccontare che non le importa più nulla, di tutto il resto. E’ assente con il marito e le figlie che sono restate, è distratta e fredda con i nipotini. Sentiamo una madre di due neonati raccontare che la tragedia ha spostato completamente la sua attenzione dai bambini e che tutto le appare ore senza importanza. Il lutto non è un momento lirico, in cui i buoni sentimenti e il buon cuore la vincono sul male, è al contrario il momento in cui l’ingiustizia della vita, con le sue illusioni d’eternità ci mostra il suo volto più spietato.

“la morte non è nobile, il lutto non è puro, non è vero – o se lo sono, non possono restare tali per lungo tempo. Messi in contatto con il mondo che vive e va, come ogni oggetto in un ambiente ostile, si corrompono”. “Philippe” di Camille Laurens ed. Folio Gallimard

Alcuni covano un feroce rancore quasi a farsene una compagnia che per intensità possa annullare lo strazio dell’assenza ingiustificata.
Le fasi del lutto sono state enumerate, lo shock, la rabbia, la depressione, il ritorno alla vita, e devono svolgersi tutte perché si metabolizzi questo cambiamento radicale nella vita di chi resta e si dimentichi (lo spietato istinto di sopravvivenza) come tutto possa di nuovo accadere, a noi o ad altri, cari a noi, oggi, domani, dopodomani.
La rabbia, la seconda tappa del lutto è resa in questo caso difficilissima da superare.
Delle persone, come il mio compagno, un vostro cugino, un amico, sono andate a lavoro.
Non sono tornate a casa perché le condizioni di lavoro non hanno permesso loro di farlo.
I responsabili della morte di queste persone sono diversi: i datori di lavoro, coloro che dovevano effettuare i controlli, coloro che hanno accettato la situazione senza denunciarla.
Una ragazza, il cui fratello è morto dopo ventiquattro giorni di agonia, ancora dopo un anno, e dopo un tentativo ancora in corso di rappacificarsi con il mondo, non riesce ad impedirsi di desiderare la stessa sorte per i responsabili.
La morte, a torto o a ragione, è intollerabile di per sé, ma la spietatezza del comportamento umano, che dispone della vita altrui, come se non possedesse alcun valore, è, se possibile, infinitamente più intollerabile.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Non ho visto la trasmissione ma hai spiegato molto bene il senso della puntata.
In questi giorni, complice, forse, il ritorno ciclico di una fase depressiva, mi sto interrogando su molte cose.
La constatazione più lacerante, che forse ha un po' a che fare col tuo scritto, è che siamo quasi sempre pronti a farci in quattro quando un parente, un amico, sta male.
"Se hai bisogno di qualcosa, io ci sono sempre", alzi il mouse chi non ha mai detto una stronzata simile.
Il fatto è che si dovrebbe fare qualcosa per gli altri quando stanno bene, quando non hanno bisogno, mi pare.
Peccato che troppo spesso,per essere tacitata la nostra coscienza abbia bisogno di visibilità, di competitività.
Siamo tutti qui, al capezzale del morente, chi offre più impegno a tempo determinato, fino a quando il bisognoso sta bene o muore?
Il mondo si può cambiare solo se principiamo dai nostri comportamenti.
Elaborare i lutti è complicato e lo sappiamo tutti, ma mai quanto elaborare la vita.
Ciao.

Anonimo ha detto...

L'abitudine a ragionare sempre solo sui numeri e sulle statistiche ci fa paerdere lo spessore di problemi, la loro tragedia. I numeri nascondono i volti, nascondono le emozioni, i sentimenti e non ci si ricorda più che dietro ad una persona che perde la vita c'è una persona e ditero a questa persona altre persone. Eppure mi fa anche paura questo esibire il dolore attraverso la televisione come se non ci fossero luoghi "altri" in cui poterne parlare e condividere e trovare consolazione. Ho sentito un pezzo della trasmissione "L'infedele" sullo stesso argomento ed ho provato disagio. Vorrei poter incontrare gli sguardi non attraverso schermi eppure nella vita reale quasi non ci si incontra più. Non so se sono andata fuori dal tema che hai proposto, ma è quello che sento. Ciao, Giulia

Anonimo ha detto...

Giulia:ciò che mi ha colpito di questa trasmissione è stato il silenzio, i momenti di silenzio fra una frase e l'altra. Non c'era nessuno a gridare e nessuno a incalzare, punzecchiare laddove fa più male. E nemmeno un'esibizione del dolore, al contrario il dolore è stato raccontato nei suoi lati meno "nobili", attraverso l'odio per i "colpevoli", attraverso la constatazione di non aver imparato nulla da esso, di non aver trovato il senso, di non aver convertito tale dolore in qualcosa di positivo. Insomma, nessuna favola che si conclude con il lieto fine.
E' questo che mi ha colpito ed è ciò che ho apprezzato perché chi ha gestito questa puntata ha avuto il coraggio di mostrare il lutto, la sofferenza, il rancore, senza mascherarli, truccarli, inzuccherarli. Mi ha ricordato i miei lutti, vissuti con altrettanti sentimenti contrastanti, lontani dalle favole che immaginano tutti coloro che non vogliono vedere in faccia la durezza della vita e della morte.

amfortas: credo che, come tu dici, bisogna esserci, se lo si vuole davvero, e se l'altro lo vuole davvero, quando si può e come si è.

Giuliano ha detto...

C'è molta ipocrisia in questo argomento. La verità è che il giorno dopo si parlerà solo di Santoro... E non è colpa di Santoro, non in casi come questo.
La verità è che della morte degli operai sul posto di lavoro non importa un piffero a nessuno, soprattutto fra color che sono al governo oggi (ma non solo).
Affrontare seriamente il problema significherebbe, ed è solo l'inizio, sbattere finalmente nella spazzatura tutti i luoghi comuni e le frasi fatte che circolano dai tempi della Thatcher e di Reagan, i "lacci e lacciuoli", il liberismo assoluto, la delocalizzazione, i fannulloni e gli assenteisti, eccetera eccetera eccetera.

Anonimo ha detto...

No, non è forse colpa di Santoro perchè fa il suo lavoro. Ma quello che volevo dire è che ci abituano ad un dissenso "televisivo"... Sappiamo cosa succede, ma poi non sappiamo cosa farne di quello che sappiamo... Ci sarebbe da pensare e molto su questo. Giulia

Anonimo ha detto...

L'ho seguita con attenzione questa trasmissione, da principio con diffidenza perchè non tollero la tv del dolore, poi con stupore mi sono scoperta a piangere. Quando la madre ha raccontanto di aver baciato i piedi del figlio perchè era l'unica cosa che poteva toccare e un'infermiera pietosa le ha permesso di avvicinarlo per pochi secondi. Non ne ho parlato con nessuno, e già sappiamo cosa si dice su questi argomenti. Io vorrei che venisse fatto qualcosa. Io vorrei una giustizia che facesse il suo corso. Sappiamo che il gruppo ha speculato sui sistemi di sicurezza che ha abbandonato questo stabilimento per incrementarne un altro, che ha lasciato allo sbaraglio uomini capaci senza le giuste protezioni. Questi sono dei criminali.Punto. Inutile girarci intorno e andrebbero condannati pesantemente per omicidio volontario perchè la linea non l'hanno messa in sicurezza quando sapevano dalle riunioni che ne aveva bisogno. Purtroppo sappiamo come vanno queste cose. Allora mi scopro a piangere, per il nodo in gola sì, per compassione, ma soprattutto per rabbia.
E di fronte alla sorella che augura la stessa cosa, mi dispiace, passerò per una persona poco intelligente, pazienza, ma augurerei la stessa cosa, a loro personalmente, che i parenti non hanno colpa, perchè certe persone purtroppo, se non ci passano non capiscono o se ne fregano. E non va bene.

Solimano ha detto...

Henry Laborit è una lettura che consiglio a tutti quelli che desiderano la chiarezza, occhio che ci vuole del coraggio, ad accettare veramente quello che dice Laborit.
Ne "L'elogio della fuga", scrive anche sulla morte, e dice che la morte non interessa l'estinto (non c'è più e basta), ma la morte è in noi, nel nostro cervello, perché sentiamo morire in noi quella persona, costruita nei nostri ricordi neuronali. Questo è il lutto, una morte da vivi dentro di noi.
Da un altro punto di vista, la morte non ha corpo proprio, di per sé non esiste, è il fenomeno terminale della vita, che è una sola e temporanea. Queste parole possono sembrare ciniche o banali ma non credo: il terrore della morte va schiodato, altrimenti, dando corpo alla morte, contrapponendola alla vita, importiamo il concetto di morte nella nostra vita, siamo morti da vivi. E' la trappola accuratamente preparata da tutti pulpiti: terrorizzare con la morte per gestire i vivi.

grazie Sabrina e saludos
Solimano