lunedì 20 ottobre 2008

Dolorismo

Solimano
Qualche tempo fa, nel blog di Clelia, mi è scappata la pazienza, ed ho l'autoassolutoria convinzione che la mia pazienza scappa quando non può fare altro che scappare, proprio come la pipì.
Un retaiolo scriveva commenti di un dolorismo, ma di un dolorismo, ahi che dolor! E più o meno gli ho risposto: "Ma tu, lo conosci veramente il dolore? Ne parli troppo, del dolore". La cosa è stata presumibilmente non gradita, difatti da allora non commento più in quel blog, ma continuo a pensare che si scambi la tristezza per dolore, mentre sono due cose assolutamente diverse.
La tristezza è una sofferenza senza causa esterna, una sofferenza autoprodotta. Il dolore nasce da eventi o persone esterne, da malattie; cause concrete, magari impossibili da rimuovere. Inoltre la tristezza tende ad autoconfermarsi contagiando gli altri. Il ragionamento sotteso è: "Non sono io ad essere triste, è il mondo che lo è". Mentre il dolore sta lì, sopra di te, e lo devi sopportare. Non hai tempo per parlarne, neppure voglia, sei troppo impegnato nel subferre, però se qualcuno ti sta vicino può aiutarti. E' una ferita sempre sanguinante, ma di sangue sano, non marcio.
Mentre la tristezza la si porta in giro da un posto all'altro, da un blog all'altro, fa fino, per gli amanti del genere. Chi ha provato il dolore ne parla poco nella vita reale, figuriamoci in un blog, perché parlarne non rafforza ma indebolisce le indispensabili facoltà di resistenza. Si deve imparare a tenere per sé il proprio dolore.
Conclusione. Se incontro un triste, gli dico: "Cambio marciapiede, verrò da te quando deciderai di non essere triste". Se incontro un sofferente, gli dico: "Sono qui". La tristezza è una specie di dolore modaiolo, per il dolore non ci sono mode, c'è e basta, pian piano da solido si fa liquido. Ma ci vuole tempo, non chiacchiere, tanto meno in rete.

Guido Mazzoni: Il Compianto (part) 1492 Terracotta
Napoli, Chiesa di Sant'Anna dei Lombardi

4 commenti:

Medine ha detto...

E' così.
Dolorismo mi piace molto. Lo potrò usare anch'io? Di solito li definisco i piangerai ma dolorenti forse rende meglio:)

Roby ha detto...

A volte mi sento un po' decadente, a metà fra Pascoli e Svevo, perchè "mi piace" (le virgolette sono d'obbligo) immergermi in un impalpabile "bagno" di tristezza, ricordando volutamente periodi passati, cose perdute, persone che una volta c'erano e che non ci saranno mai più... Però lo faccio senza disturbare nessuno, sola soletta fra le mie quattro mura, o passeggiando in una strada tranquilla, o sfogliando lentamente un vecchio album di fotografie. Forse, più che tristezza potrei definirla malinconia.

Solimano caro, non vorresti proprio attraversare il marciapiede per dare un'occhiata con me a quelle foto? Magari chiamiamo anche Sgnapis...

E così la "tristezza" diventa "serenità".

Roby

Giuliano ha detto...

Non sono mai andato oltre il mal di denti e qualche colica renale, però ho appena finito di rileggere Orwell 1984: ti ricordi il finale, quando il protagonista viene torturato e alla fine si trova a gridare: "Non fatelo a me, fatelo a Julia"? E la Julia è la donna di cui è innamorato.
Col dolore, quello vero, non si ragiona più, si vuole solo che smetta: anche col mal di denti e con le coliche renali, che io lo so che durano magari solo un paio d'ore, ma saperlo serve solo se il dolore è poco.

Solimano ha detto...

Silvia, dolorenti mi piace, perché ha l'aria di recita. Nel caso dei tristi la recita è di prammatica. Nell'analisi transazionale di Berne c'erano anche i giochi nevrotici, e sicuramente hai qualche conoscente specializzato in "Sì, ma". Lui ti dice che le cose non vanno bene e tu gli dici che potrebbe fare così. Lui risponde con una frase che inizia con "Sì, ma..." e smonta quello che gli hai appena detto . Allora tu gli dici che potrebbe fare cosà, e lui, con la solita frase che comincia con "Sì, ma..." ti smonta anche il cosà. Pensaci, sicuramente qualche tuo amico o parente fa proprio così. Non è un gioco senza fine, finisce quando ha reso triste anche te, perché il triste non vuole essere consolato, vuole contagiare gli altri.
Roby, Pascoli è grande e in effetti a volte è triste, ma Svevo no! Voglio bene a tutti e tre i suoi romanzi, ma voglio bene in particolare a lui, quando è Zeno Cosini. Svevo è molto autoironico, ed è una cosa che il vero triste non fa, perché dovrebbe prendersi a schiaffi.
La malinconia. Io la vedo così: abbiamo bisogno di stare in compagnia ma abbiamo bisogno anche di poter stare da soli con noi stessi, contatto e ritiro. Però gli umorali (anch'io lo sono), proprio perché l'umore cambia, non sono tristi, magari seccati, infuriati, robe così. I tristi sono coerenti: tempo brutto stabile.
Giuliano, però io prima di conoscere la depressione dicevo: "Datemi la depressione, non il mal di denti", poi ho cambiato idea, perché sopo due ore il madi denti è passato, mentre la depressione ce ne vuole di tempo (ammesso che passi, la mia ci ha messo un anno e mezzo).

grazie e saludos
Solimano