lunedì 9 giugno 2008

Cavalieri erranti e accoppiamenti giudiziosi

"Accoppiamenti giudiziosi" è plagio sfacciato dal titolo di un racconto di Gadda. Ma l'ho preferito a "Matrimoni di convenienza", suona più Etologia e Morale. E anche un po' pruriginoso, il che non guasta, altrimenti sai gli sbadigli.

A quel dì, tutti dicevano di sposarsi per amore, ma non era vero. Dopo i venti anni, nel giro di amiche ed amici si innescava una frenesia che trovava il suo acme verso i venticinque: a quel punto i giochi dovevano essere fatti, chi è dentro è dentro chi è fuori è fuori, salvo qualche saldo di fine stagione verso i trenta anni, poca roba però. La laurea ed il matrimonio erano gli obiettivi da non mancare; il primo dichiarato, il secondo molto meno, ma ancor più sentito, e sentito ambosessi. Il giorno in cui mi laureai, un mio collega di laurea fu accolto all'uscita della Aula Magna da un tonante ed ultimativo "E adesso mi sposi!" proferito dalla morosa, ragazza molto schietta. Questa era la sostanza, la forma era un innamoramento ben temperato di facile innesco e di facile estinzione, se del caso. Infatti, se non si destava la corrispondenza di amorosi sensi nel giro di quindici giorni, zac si cambiava l'obiettivo, naturalmente innamorandosi, perché no, del nuovo, con rapida damnatio memoriae del precedente. Non si perdeva tempo: fra il primo ed il secondo appello la cosa doveva definirsi: la cosa era la "matrimoniabilità". Esisteva anche una specie di tacita Borsa Valori: "Val più un ingegnere di famiglia povera o un professore di famiglia abbiente?" Ah, saperlo! I medici valevano più di tutti, col rischio però degli investimenti a lunga scadenza. Le madri delle ragazze avevano cominciato a ben seminare già molto prima, prima anche dei quindici anni, e le figlie avevano assai bene appreso e fatto proprio il concetto, giudizioso come dice il titolo. Ma anche i ragazzi, a loro modo, più da bietole, c'erano dentro fino al collo.
Esistevano anche le eccezioni alla regola: l'amore sbocciato sui banchi della quarta ginnasiale, quello fra la figlia della maestra e l'allievo prediletto di detta maestra, l'amore nato in cortile, fra una palla prigioniera ed un nascondino, e così via. Eccezioni spesso naufragate a quarant'anni fra litigi inenarrabili: vedi cosa succede a non dare ascolto alla regola?! Nacquero così tanti matrimoni, tutti naturalmente "d'amore", ma se ci scrostavi la tenue vernice dell'innamoramento, appariva la sostanza della reciproca convenienza, sancita, ben prima degli sponsali, da un signor anello di fidanzamento, assai diverso dalla sobria fedina venuta di moda più tardi.

Ma il tempo passò e le cose cambiarono. Mi spiego con due esempi.
A quel dì, dopo il matrimonio "d'amore" c'era il viaggio di nozze, come no. In genere durava tre settimane ed era anch'esso giudizioso. Nel senso che la prima settimana era stanziale: una bella città, un bell'albergo e di lì non ci si spostava finché non si era sbrigata l'incombenza, complicata anche dalla inesperienza maschile. Nelle successive due settimane, ville venete e tombe etrusche, e un gran lavorìo di francobolli e cartoline, scritte e imbucate acciocché il popolo, tutto il popolo sapesse.
Secondo esempio.
Oggi nessuno oserebbe più dire ad una ragazza ventenne "hai uno sguardo virgineo". L'ultimo che ci provò fu un ragioniere di Saronno, in un tardo pomeriggio del 6 aprile del 1983. Si beccò un ceffone a piena palma dalla offesissima ventenne, e non poté nemmeno far causa per lesioni, perché la giovane era in grado di produrre (sì di produrre!) fior di testimonianze risalenti sino a cinque anni prima, che attestavano l'impossibilità del fantomatico sguardo virgineo.
Il sesso era cambiato.
Ma diciamocela tutta: va bene il sesso, va bene la pluriennale esperienza da single, va bene la convivenza senza sponsali, ma al dunque ancor oggi ci si arriva, magari fra i trenta ed i trentacinque anni. E siamo sempre lì: l'accoppiamento ha da essere giudizioso. Perché dopo quindici anni di tourbillon, giunge il momento del vero amore, del comune progetto di vita, e quindi ancora la sotterranea Borsa Valori con le new entry: elettricisti ed idraulici in primis, i professori non li vuole più nessuno. Happy end, quindi, come nei film americani di ieri, di oggi e di domani. Ma i film finiscono con l'happy end perché dopo c'è poco da raccontare. D'accordo, qualche avventura sul posto di lavoro, periodi di frenetici sms, qualche martedì grasso ma prima o poi si giunge ad una pluriennale convergenza di boh e di mah, ad un pestarsi i piedi vicendevole. E questa quaresima sistematica, seppur rassicurante, stucca.

A meno che non si introduca al giocattolo dell'accoppiamento giudizioso qualche migliorìa che lo renda più interessante. Non ho niente contro gli accoppiamenti (figurarsi!) né tampoco contro il fatto che siano giudiziosi, in tutti i sensi. Dagli esempi che ho addotto sembra che mantengano un sostanziale appeal attraverso i tempi. La casa, i mobili, i figli, il talamo, le zie di Lomazzo che sono contente, i mangiarini della domenica, le camicie stirate, gli elettrodomestici, l'invidia delle compagne di scuola, ma che si vuole di più? Il problema è proprio qui: si vorrebbe di più, e non basta il paradiso manzoniano dell'amore comandato, perché in esso mal si nasconde sempre una macchia, come in certi angoli della casa l'umidità - anche in agosto. "Amore comandato" resta un ossimoro, detto con mortifera buonafede. E me lo immagino, il Manzoni, all'approssimarsi della Teresa Borri Stampa, mormorare fra sé e sé: "Beh, è amore comandato...".
Una prima miglioria al giocattolo è quella di prendere atto che la pulsione di dominanza c'è in tutti (ed in tutte) e non la si può cancellare, ma soltanto eventualmente governare. E' scritta nel nostro DNA, poche storie. Chissà, quelli di Neanderthal erano tutto un cicip e ciciop di "Prego, s'accomodi!", ma quando arrivarono quelli di Cro-Magnon furono spazzolati via nel giro di diecimila anni, praticamente in un attimo. E noi dei Cro-Magnon siamo figli, e dei loro accoppiamenti astutamente e naturalmente giudiziosi. Quindi, quando sentiamo che recita l'elogio della fine della pulsione di dominanza etc etc, possiamo essere certi che o gestisce la posta del cuore o ci parla da un pulpito, il che poi è la stessa cosa...
Potremmo quindi passare dal piagnone "Ines, ho un debole per te" al pallesco "Ines, ho un forte per te". Ines non ve lo dirà mai, ma in fondo le sta meglio così, e paradosso dei paradossi, l'amore è un po' meno comandato, proprio perché i due, a farsi comandare, non ci stanno: si tengono infatti ben stretta la loro pulsione di dominanza. Si rompe qualche piatto in più, magari, ma qualche urletto e cigolio lo avvertono anche i signori del terzo piano, e va bene così, si svegliassero pure loro, 'sti due Neanderthal, che non è mai troppo tardi!

Poi c'è lo scambio di carezze.
Le carezze, oh le carezze! Di sguardi, di parole, di e-mail, di sms, di sorrisi, di brindisi con bicchieri di carta, di silenzi, di sussurri, di corpi. E di tant'altro ancora. Ma prima una zaffata di pedanteria.
Non basta la pulsione di dominanza, c'è pure la ricerca di uno spazio gratificante, c'è fin dal pollice succhiato dall'infante. Uno spazio richiede un recinto, ma che sia largo, per favore! Sull'Appennino emiliano vidi un recinto in cui erano rinchiusi dei caprioli. Ma il recinto era ristretto e la conseguenza era che in quello spazio non cresceva un filo d'erba; in compenso, era tappezzato di escrementi.
Lo spazio, oltre ad essere largo, deve avere anche un recinto facilmente scavalcabile. So che in tal modo offendo le orecchie di molti, onusti di considerazioni moraliche, come direbbe una mia amica, ma soprattutto impauriti (eh sì, la paura fa novanta!) dalle dinamiche del recinto, ed ancor più dalla libertà, là fuori. Una specie di sindrome di Stendhal, che sarebbe meglio chiamare sindrome di Manzoni (o di Teresa Borri Stampa, fate voi).
E veniamo alle carezze.
Succedono due fatti strani.
Il primo è che negli accoppiamenti giudiziosi e pure in quelli non giudiziosi si aggirano molti pessimi carezzatori, ambosessi. Odiano il carezzare, e ancor più odiano essere carezzati. Cani e cagne che si avventano contro i passanti intimiditi, e che semmai mordono la mano che li sfiora.
Il secondo è che, ciò malgrado, i suddetti, anziché ricevere il giusto disdegno sociale, trovano nelle strade e nei sentieri scodinzolanti torme di aspiranti alle loro carezze, tanto più desiderate quanto più inesistenti. Pronti a disporsi come tappetini o stoini di fronte sino ad ottenere il "No!" sprezzante, neppur condito da un "Grazie" lubrificante. Le conseguenze sono ovviamente nefaste: e-mail spedite in bottiglie senza tappo, appuntamenti disdettati senza annunzio di disdetta, insonnie compensate da pennichelle pomeridiane visitate da sogni cattivi, pianti a scroscio ed ancor peggio occhi asciutti con ruga verticale in fronte. Però il fatturato è garantito a una serie non esigua di professionisti: cartomanti, predicatori di felicità ultraterrena, psicologi singoli e di coppia, istruttori e istruttrici di vita...
E' come se alla pulsione di dominanza corrispondesse un istinto gregario ed alla fame di carezze una bulimìa di sberle date e ricevute. La Lucy dei Peanuts, che, si badi bene, è pure innamorata senza speranza del beethoveniano Schroeder ma tira ceffoni all'universo mondo, la Lucy è la quintessenza di tale bulimìa che inghiotte cibi avariati ed aria inquinata, contenta se anche gli altri sono costretti a farlo. Una Kyoto alla rovescia, in definitiva.
Occorrono interventi, riforme, direbbe Bersani. Nell'interesse dei tanti accoppiatori giudiziosi che vedono frustrata la loro metodica pianificazione delle convenienze, ma anche dei tanti che giudiziosi non sono, che amano la spaziosità senza voler per questo cadere nella bocca del Lupo Cattivo o nelle mani della Malefica Strega.

Per fortuna esiste l'autobacio.
Cosa è l'autobacio? E' una piccola gratificazione che si dà a se stessi: con la mano sinistra si accostano fra di loro la guancia sinistra e le labbra, e SMOCK! parte l'autobacio, suono un po' sordo ma gradevole, come un violoncello in giardino. Non lo SMACK! riserbato alle amiche, non lo SMICK! rivolto ai parenti di secondo grado. SMOCK! ed il gioco è fatto. Ci si sente leggermente meglio, dopo.
L'autostima e l'autoappoggio sono essenziali, se vogliamo amoreggiare soffrendo il meno possibile - perché, almeno un po' , si soffre sempre. Solo che non sono nel DNA, a differenza della pulsione di dominanza e della ricerca di uno spazio gratificante. Occorre ricostruire e mantenere nel tempo il filo rosso di questo tema, investigando in particolare i ricordi infantili. Si scopre che mammà e papà ci hanno carezzato poco e male, e noi, invece di prendercela con loro, ce la siamo presa con noi stessi: la colpa era nostra, in quanto bambini cattivi e quindi non degni di carezze. A volte si aggiungono anche carezze non di retta intenzione rivolteci da qualche zio indegno o da qualche cuginona esuberante. Fatto sta che quando scendiamo nell'agone siamo in difficoltà, perché elemosiniamo carezze altrui non ritenendocene degni. E il NO che ci becchiamo è del tutto giustificato: come può ottenere carezze altrui uno che non è neppure in grado di carezzarsi da solo?
A ciò si aggiunga che lo spazio pullula di piglione e di piglioni. Intendo persone che hanno una forte tendenza ad impossessarsi degli altri senza mettersi minimamente in gioco. Ci vanno a nozze, questi, con chi ha problemi di autostima e di autoappoggio! I piglioni diroccano ciò che era malfermo, spianano ciò che era diroccato. Spargono sale sulle rovine. Verrà il dì che il Megapiglione Intergalattico se la prenderà con tutta la piglioneria di questo mondo e la condannerà al contrappasso di un eterno m'ama - non m'ama di sfogliatori di margherite stente. Peggio dei tormenti di Tàntalo e Sìsifo!
Ma intanto i piglioni son qua e tocca sopportarli. Non ci mollano, no che non ci mollano.Rimangono però spiazzati se qualcuno è in grado di rispondere: "No? Ne prendo atto, cari saluti a casa". L'architetto Melandri, quello di Amici miei, ribatterebbe: "Ma io l'amo!" Eh no, caro Melandri, tu non ami te stesso, figuriamoci se puoi amare qualcun altro. Tu corri dietro ad una frusta, non ad una persona. Ci vuole del tempo, sono d'accordo, ed esiste sempre il rischio d'impresa di prendersi qualche bel NO, ma diciamo SI' a noi stessi, intanto: i danni verranno ridotti considerevolmente.
In tal modo, con la lancia dell'istinto di dominanza, l'usbergo dell'autoappoggio, la galanteria del bel manto variegato e del pennacchio sull'elmo, i nostri cavalieri, diciamo Bradamante e Ruggiero, sono in grado di farsi cavalieri erranti e dunque, di innamorarsi.

Innamorarsi, già! Cosa si può fare di meglio, specie nelle giornate piovose vicine all'autunno?
I maggiori esperti asseriscono che l'innamoramento è quella "cosa" che dura da un anno ad un anno e mezzo per poi trasformarsi in un'altra cosa, che potrebbe essere persino "il vero amore", pensa un po'. E così tutti sono contenti: croce, delizia e febbre, sì, ma in vista degli auspicati destini.
Per conto mio, nutro qualche riserva.
Anzitutto, l'innamoramento non è di tutti e di tutte: larghi stuoli di popolo ne sono immuni, pur dichiarandosene di tanto in tanto affetti, e conducono ciò malgrado una vita soddisfacente: dal punto catenella alla partita di calcio, dalle sciarade allo sci di fondo... quante lodevoli attività escogita la loro fantasia tranquilla! Nella loro congenita immunità compiangono sì, l'Elisa, la Valeria e il Giancarlo, ma serenamente, perché a loro quegli squasi resterannno estranei.
Poi ci sono gli accoppiatori giudiziosi di ieri, di oggi, di sempre. Il loro innamoramento, di cui ho già accennato, è come il minigolf rispetto al golf, il ping pong rispetto al tennis: costan meno, di soldi e di fatica. Sono tanti bonsai, ognuno col suo cartellino del prezzo in bella vista, esposti in ampie vetrine sponsorizzate dalla Pro Loco. E beati pure loro, che provvedono coi loro accoppiamenti a far la gioia degli statistici, che vedono finalmente risalire gli indici demografici.
Infine, ho seri dubbi anche sulla durata ipotizzata dagli esperti. Concedo che la gaussiana possa addensarsi fra l'anno e l'anno e mezzo, ho però l'impressione che così si taglino fuori esperienze assai significative sia più brevi, sia più lunghe, anche molto più lunghe. Si guarda la quantità, ma si rinuncia alla qualità, e ciò vale anche per gli innamoramenti a breve termine, spesso castigati dalle cose della vita che li rendono impraticabili o quasi. Ricordo la giovane madre sulla spiaggia di Senigallia. Mentre accudiva i due figli piccoli, in modo lieve ma deciso si tolse gli occhiali da sole, tutto perché il lui dell'ombrellone vicino potesse guardarla meglio. Durò una settimana, questo innamoramento, e valse più di certi fidanzamenti a pianificazione quinquennale con tutte le cosine al posto loro, ma che sembrano un alveare in cui non c'è l'ape regina.
Come si fa a vivere questi innamoramenti, lunghi e brevi che siano, senza soffrire troppo, ma nel contempo mantenendo intatto il vigore rubesto, aspro e dolce degli innamoramenti DOC?

Al cavaliere errante occorre il cavallo; l'innamorato è soccorso dalla creatività. Oh, si può andare anche a piedi, ma non ci si avventura oltre Lodi; si può ricorrere ad un pony, ma non si esce dal maneggio degli accoppiatori giudiziosi.
La creatività non è un mistero: è la capacità di scegliere e di raccordare alcune percezioni, fra le tante che ci assalgono, in modo inconsueto, a bassa probabilità, costruendo così realtà mentali alternative che possono scontrarsi od accordarsi con la realtà comunemente intesa. Possono anche modificarla, e quale è l'innamorato che non vorrebbe a volte modificare la dura realtà?
La creatività non è affare solo da artisti. Esistono critici, poeti, romanzieri, pittori che, trovata una formula, un chiodo, diciamo, vanno avanti a batterlo tutta la vita, festeggiando così negli anni una sola benedetta vampata di creatività.
Ma esistono persone che fanno attività normali, magari manuali, che dalla creatività sono condotte ogni giorno ad una vita piena di minuti piaceri e che si addormentano ogni sera con un ah! di soddisfazione.
Nelle persone (persone, non personaggi) dei Ritratti di virtù di Isa Melli è questo che colpisce: il giardiniere, l'informatico, la resdora, il notaio, la bibliotecaria, il parroco raccontano le loro giornate, vissute una per una con ordinaria straordinarietà. Perché le attività che svolgono e che hanno iterato tante volte, è ogni giorno che le fanno per la prima volta, liberandosi del Tempo, come i bambini nei loro giochi. Questa capacità di tradurre in nuovo l'ordinario è l'effetto di una creatività diventata sistema di vita.
La creatività in amore può anche combinare guai. Ricordo un amico, sparito per un anno nella foresta delle Ardenne fra la fontana dell'odio e quella dell'amore, che ci raccontò le mirabìlie dell'amata che non conoscevamo. La vedemmo e la sentimmo: "Quella lì?!", fu l'opinione del più sfacciato, da tutti condivisa. L'infatuazione, derivato infelice della creatività, porta a scambiare i difetti per virtù, mentre i difetti li si riconosce per tali, e li si ama in quanto accidenti della sostanza persona.
Quante vie di fuga verso l'alto consente la creatività! Si manifesta nei volti, nei gesti, nelle parole, nelle voci, nei corpi, nei pensieri: belli siamo stati tutti (e tutte) quando innamoramento e creatività hanno proceduto insieme. Belli anche nella sconfitta della preferenza accordata ad altri, nella costrizione delle situazioni senza via d'uscita, nella lontananza dovuta ai casi della vita. E la scoperta di sentieri, viottoli, vie aeree per superare un malinteso, un ostacolo, un divieto? Ogni innamoramento vissuto con creatività in certo modo non finisce mai, pur dopo la fine della frequentazione, magari anche dopo una fine amara, in cui l'amicizia e la stessa stima sono pregiudicate per sempre. Dentro di noi rimane questo autobacio quotidiano, perché quello che siamo stati lo siamo ancora, qui ed ora.

L'Amabile li avrà preparati mille volte, ma i suoi tortelli di zucca di stamani sono quelli della prima mattina del mondo: Adamo ed Eva se li sbafano delicatamente, ogni tanto si guardano di sottecchi con occhi lucenti come per dirsi: "Poi vediamo...". Il serpentone striscia - altro non può fare - con in bocca una mela metà acerba e metà vizza. L'Angelo fiammeggiante è un guardione sfaccendato - non ci sono recinti -indeciso su dove appoggiare l'ingombro della spada.
E l'albero del bene e del male? Quello lasciamolo alle visite guidate degli accoppiatori giudiziosi, che si divertano anche loro, poveretti!
(E questo, per chi non l'avesse capito, è un lieto fine. Perché domani, o anche adesso nel caso, si ricomincia.)
21 ottobre 2006


P.S. Le immagini sono tratte dagli affreschi (757) di Giandomenico Tiepolo nella Villa Valmarana ai Nani presso Vicenza.

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