mercoledì 11 giugno 2008

44. Regalo di Natale

Venivano fuori dalle officine a vederci arrivare, il mio capo ed io.
La scena dell’arrivo di una Fiat 850 multipla con davanti l’autista e dietro due ingegneri ferroviari era notevole, considerato che i padroni delle officine viaggiavano in Mercedes e i capotecnici -oggi geometrizzati in quadri- avevano quasi tutti la Millecento, magari di seconda mano. L’ossequio era doveroso perché eravamo quelli dei collaudi delle forniture -non roba da poco, carrozze ferroviarie nuove di fabbrica, carri merci e grande manutenzione periodica.
La assegnazione delle commesse passava sopra la nostra testa, era -almeno ufficialmente della Direzione Generale Materiale e Trazione, che stava a Firenze, ma noi da Verona potevamo comunque rompere le scatole durante la fornitura sul rispetto dei requisiti. Aziende grosse: Stanga a Padova, Galtarossa a Verona, Fervet a Castelfranco, più piccole le due Cima, quella di Marmirolo e quella di Bozzolo.
Ci fu anche qualche appagante diversione: a Bozzolo visitai la chiesa di don Primo Mazzolari, scomparso da pochi anni, quello che non voleva il comunismo ma amava i comunisti, a Castelfranco fui affascinato dalla pala di Giorgione giovanissimo, con la campagna che irrompe nel quadro.
Ogni tanto, una puntata a Porto Marghera, dove la Montedison ci faceva revisionare i carri cisterna , con una decisione presa in due minuti potevamo far tagliare il serbatoio, grosso danno per loro, la metà del costo di un carro cisterna nuovo. La politica delle ditte era di limitare i danni, ottenendo che noi da Verona fossimo inoffensivi, come la 850 multipla con cui arrivavamo, in modo da potersi concentrare sui rapporti con Firenze, perché era là che si decideva il loro futuro. Come si svolgessero le trattative non lo sapevo, ora lo immagino e credo che anche a Firenze si decidesse poco, i politici del Veneto bianco avevano l’ultima parola: Rumor era di Vicenza e l’emergente Toni Bisaglia di Rovigo, fra l’altro figlio di un ferroviere.
Durante la settimana stavo a Verona, la domenica tornavo a Bologna dai miei e qui -non a Verona, si badi- arrivò verso il 20 dicembre una specie di piramide egizia, piccola ma non tanto, proveniente da una delle ditte. "Fermi tutti!", dissi al babbo ed alla mamma, "Non aprite, che lunedì ne parlo col mio capo".
Sembra da ridere oggi, non lo era allora. Al babbo avevano offerto a suo tempo un bel libro con diverse banconote fra pagina e pagina: "Non sono uomo da letture", rispose restituendo il libro appena sfogliato. Quando c’erano i concorsi da cantoniere a caposquadra, indottrinava i suoi cantonieri alla sera in ufficio, in modo che potessero superare il concorso. Lo faceva gratis, rifiutò persino una borsa di pelle che gli offrirono alla fine.
Anch’io non scherzavo, col mio cattolicesimo dossettiano della FUCI di Bologna, in cui l’assistente era appena stato Bettazzi, poi vescovo di Ivrea.
Il lunedì mattina andai nell’ufficio del mio capo, uno scapolo cinquantacinquenne di solito tranquillo, già più bianco che biondo. Ma quando sentì che a Bologna era arrivata la piramide, mi guardò rosso in viso e quasi atterrito. "Ci siamo", pensai, azzittendomi. Ed il capo parlò: "Lei non mandi nessun biglietto di ringraziamento!". Sì, ero dossettiano ma Ingegneria attizza i neuroni: "Stia tranquillo, non ringrazierò".
Tornò il sereno.
A metà settimana, una sera tornai a Bologna per guidare l’attacco frontale alla piramide -a pensarci bene era più un bel tronco di cono. Dalla breccia praticata superiormente sbucammo nelle profondità e fummo investiti dall’odore travolgente -più dei profumi di Maria Maddalena- di un laicissimo Natale che non conoscevamo: zamponi, cotechini, prosciutti, panettoni, torroni, certosini, tutto in un ordinatissimo disordine, più bottiglie e bottiglioni, odorosi solo dopo stappati. Vogliamo chiamarlo il buon odore della corruzione? Era solo l’usuale lubrificante sociale da fornitore al cliente, un po’ pantografato magari, non la bottiglia di moscato che non si nega a nessuno. Pensai a quanto doveva essere alto il tronco di cono che aveva ricevuto il mio capo, che magari pensava ai tronchi di cono di Firenze. Pochi giorni mancavano al Santo Natale: tutte le ditte fornitrici provvidero per tempo a fare i loro auguri a me, giovane ingegnere un po' meno dossettiano.
Non ringraziai nessuno, proprio un gran maleducato.

P.S. L'immagine è della pala d'altare di Giorgione: "Madonna col Bambino e i Santi Liberale e Francesco" c.1505 200 x 152 cm Castelfranco Veneto, Duomo.

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