lunedì 9 giugno 2008

L'amore cronico

Heinrich Kley: Comitato per la Morale Pubblica

Ogni tanto, nel forum “Questioni d’amore”, arriva una sgridatrice universale che se la prende con tutte e tutti gli adulteri reali o potenziali di questo mondo, sostenendo un suo inviperito “nei secoli fedele”, perché così ha da essere, e che si vergognassero quindi, e basta qui e basta là.
Gianna Schelotto, che conduce la danza del forum, quando capitano queste baccanti della monogamia assume un atteggiamento strano, visto che ha quarant'anni di matrimonio sulle spalle. Fa l’asettica, non si pronuncia, malgrado le pressanti sollecitazioni delle vestalone del sacro fuoco nuziale, e credo infine di aver capito il perché.
L’amore cronico, o matrimonio che dir si voglia, viene inteso come una carta da bollo con tutte le marche e le firme a posto, e guai a chi sgarra. E’ un contratto, in effetti, che si può anche interrompere, ma anche l’interruzione è cronica, nel senso che ci vogliono anni ed anni di discussioni, suddivisioni di figli, di case, di soldi. Tutti lo sanno, e nessuno ha piacere di stare insieme solo perché c’è un contratto, così stringente poi.
Decenni fa Guglielmo Gullotta, nel suo “Commedie e drammi nel matrimonio”, inventò un geniale paradosso: il problema non è il divorzio, ma il matrimonio, e quindi se ogni tre anni non si rifà il contratto, il matrimonio è automaticamente sciolto. Un silenzio-divorzio, in definitiva. Il paradosso è geniale perché, se i due contraenti tengono al loro amore cronico, debbono darsi da fare entrambi, ridire il sì, tutta la trafila, altrimenti c’est fini, non c’è più niente per nessuno. La Schelotto sa bene -credo anche sulla pelle sua- che durare anni ed anni vuol dire un bocca a bocca soggetto a variazioni, perché i due cambiano, lo vogliano o no; cambiare non è facile, men che meno rimettersi in gioco di frequente -di questo si tratta.
Se non si cambia, il mestolo ce l’hanno quattro verbi: liofilizzare, cristallizzare, surgelare, ammuffire. Tendono persino ad assomigliarsi i due, sembrano più fratello e sorella che marito e moglie, usano parole identiche, hanno la stessa opinione di ogni persona che incontrano, si capiscono al volo, gran bella cosa, di per sé, ma c’è ben poco da capire, ormai. Così in apparenza, perché ognuno dei due vive una sua interiore vita che tiene ben segreta, un suo vizio nascosto di libertà e così deve fare, se vuole sopravvivere. Serve un proprio spazio di verità, quella che non si dice neanche alla mamma, figuriamoci al marito.
Stessero quindi un po’ zitte le vestalone, già le loro urla sono sospette, sanno di furia prepotente e fragile. Ci sono anche coppie che proseguono insieme la strada iniziata decenni fa: lo fanno con sorridente convinzione, e sono da ammirare. Ma li si riconosce nella pietà e nella considerazione per quelli che si sono lasciati, sanno infatti che non è una strada agevole quella di rinnovarsi più volte per riuscire a rincontrarsi.
L’alternativa è un fuoco spento che finge -a colpi di anniversari e di feste comandate- di essere ancora acceso, ma il freddo si sente tutto. In questo frequente caso è meglio smettere per ricominciare, il bosco è grande, dicono i fungaioli che le cose le sanno.
13 novembre 2006

Heinrich Kley: Colti in flagrante

Nessun commento: