martedì 9 febbraio 2010

I test attitudinali

Solimano


Un recente post di Giulia, questo, mi spinge a raccontare la mia esperienza sull'argomento dei test attitudinali. Cercherò di stare sul pratico, su ciò che è realmente accaduto.

Quando arrivai al Centro d'Istruzione sul lago di Garda, mi sentivo un topo di campagna, che però ne aveva visto tante di curiose in quei dieci anni fra Fidenza e Carpi, Boretto e Langhirano, Albinea e Soragna, ma soprattutto fra Parma e Reggio Emilia.
Tre giorni dopo sarebbero arrivati i ventotto giovani laureati a cui avrei dovuto fare da nave scuola per cinque mesi prima di mandarli in zona, ognuno col suo mestiere ognuno nel suo luogo.
Sulla scrivania trovai le ventotto cartelle personali contenenti le informazioni.

Prima sorpresa: la metà di quei giovani erano stati segnalati da alti dirigenti aziendali: eccole, le raccomandazioni! Quindi, la cultura della multinazionale americana era tale e quale quella del comune campano o veneto... no, c'era una differenza. Lì era istituzionalizzato, portato alla luce del sole: "Tu Direttore Intergalattico desideri che l'azienda assuma Tizia o Caio? Scrivi una lettera su carta intestata e la lettera la firmi col tuo nome. Poi la mandi al Direttore del Personale. La tua lettera andrà nel file del candidato ed ogni capo che Tizia o Caio avrà in futuro vedrà che quel candidato è stato segnalato da te".
E l'italiano tipico direbbe: "Vedete? Gli americani sono peggio di noi... istituzionalizzano la raccomandazione, addirittura!". No, è molto meglio così. Si chiama giocare chiaro: un dirigente sopra un certo livello è una persona ritenuta affidabile, perché non dovrebbe segnalare qualcuno? Lo faccia scoprendosi: onori ed oneri, se quello si rivela una testa di cavolo, resterà nel file che il Direttore Intergalattico ha segnalato una testa di cavolo.

Seconda sorpresa: in ogni cartella c'erano i risultati dei test attitudinali dei candidati. Dati che nessun candidato avrebbe mai conosciuto. Io non ho mai visto i risultati del mio test attitudinale: penso di essere andato bene... diciamo benino... visto che poi mi assunsero, ma è una mia illazione.
Tutti dati buoni, dal sufficiente all'ottimo, con una particolarità che mi colpì: tre erano eccezionali (come numero in sé).

Comincia il corso, ed io, fra le tante altre cose, cercavo di farmi una idea di questi tre: un barese matematico, un ferrarese fisico, un milanese ingegnere. Non erano personalità spiccate, più sul timido che sullo sfacciato, né facevano comunella insieme, ognuno aveva il suo giro del caffé, della mensa e delle serate.
Il corso andava avanti, basato spesso sul lavoro di gruppo. I gruppi li assegnavo io, cambiando sempre le composizioni (dovevano abituarsi a lavorare bene anche con chi non gli andava a fagiolo, la vita è fatta così).
Solo che un giorno mi girò di provare una cosa nuova un po' a rischio: lasciarli liberi di scegliersi i gruppi di lavoro come desideravano. E la cosa curiosa successe: il matematico pugliese, il fisico emiliano, l'ingegnere milanese si misero insieme, scegliendosi l'un con l'altro. Un caso? Non credo.


P.S. Le immagini provengono tutte dal Musée du quai Branly di Parigi. Dall'alto in basso:
Il libro di Ester. Secoli XIII-XIV. Proveniente da Fez, Marocco.
Statuetta Mambia, Nigeria. Secoli XIX-XX.
Il dio della pioggia. Cultura Mixteca. 1000-1521. Proveniente dallo stato di Oaxaca, Messico.
Dipinto etiopico raffigurante un martire cristiano. Secolo XVII. Proveniente dalla chiesa di Abbas Antonios di Gondar.


6 commenti:

Emilia ha detto...

I test attitudinale hanno una loro validità, lo credo anche io. E' interessante questa tua esperienza. Anche io sono d'accordo che se c'è una segnalazione da parte di qualcuno più o meno in alto, debba essere alla luce del sole e allora perchè no.
Non mi stupisce affatto che i tre si siano messi insieme.
Comunque un'attitudine da calcolare bene è proprio quella di saper lavorare insieme agi altri.
Grazie

Solimano ha detto...

Giulia, vedo che hai capito perfettamente il discorso della segnalazione.
Era un vero e proprio benefit, a cui avevano diritto solo i dirigenti ad altissimo livello, e non era automatico. La trafila dei test e dei colloqui andava avanti in modo non burocratico. In questo modo, proprio perché era in chiaro, il dirigente stava bene attento a segnalare qualcuno che effettivamente lo meritasse, perché il nodo sarebbe arrivato al pettine e il dirigente avrebbe perso come affidabilità.

Altra cosa che pochissimi sanno: se tu hai di fronte un test serio di 90 domande e rispondi a 70 tutte giuste, è meglio che del fatto che tu risponda a 80 domande di cui 70 in modo giusto. L'errore penalizza nel conteggio. Quindi, devi correre (perché le domande sono troppe per il tempo che hai a disposizione) ma devi mantenerti serio, perché quando ti accorgi che non ce la fai a rispondere a tutte, hai la tentazione del "Tanto ci provo". Di questa modalità non avvertivano, e facevano bene: il test diventava anche uno strumento per verificare la serietà della persona.

Il mio atteggiamento, su questo tipo di problemi, non è assertivo ma valutativo. Sono comunque convinto che come strumento di screening di massa servano, perché migliorano le probabilità di assumere persone valide (non la certezza, la probabilità).

grazie Giulia e saluti
Solimano

Gauss ha detto...

A proposito dell'esperienza che racconti nel tuo bel post, hai mai pensato, Solimano, che i tre super si siano ritrovati nello stesso gruppo perchè dagli altri erano rimasti fuori, quindi non per scelta ma per necessità?
Sai, non è raro che ad un alto I.Q. corrisponda un indice di gradimento basso, e viceversa, per immaginabili e comprensibili ragioni, sulle quali non occorre che mi dilunghi.

Sulle raccomandazioni, a me pare che, tecnicamente (se così posso dire), quelle che riferisci tu si possano a malapena definire tali. La raccomandazione vera non dà rilievo alla capacità del raccomandato, per valere deve far leva sulla sua relazione (di parentela, amicizia, partito, setta, cosca...) con il raccomandante.

Grazie, e saluti.

Gauss

Solimano ha detto...

Gauss, può esere che quei tre, in un certo modo, fossero emarginati dal gruppo. Apprezzati lo erano, ma gli opinion leader erano altri. Queste cose succedono frequentemente in una situazione di totale inconsapevolezza personale e di gruppo. Andrebbe sempre ricordato che la forma di ammirazione più sincera è l'invidia, quasi un istinto primario di cui si fa di tutto per negare l'esistenza, mentre solo se ce ne accorgiamo in noi siamo in grado di gestirla a buon pro' comune, verniciandola col nome politicamente corretto di ammirazione.

Stai tranquillo che in tutte le biblioteche Anobi e in tutti i saggi pensieri sui libri e in generale sulla letteratura, di due personaggi non si discute mai: il Blifil del Tom Jones di Fielding e soprattutto l'Huriah Heep del Copperfield di Dickens.

Ne parlammo, dell'invidia, proprio durante quel corso di cinque mesi sul Lago di Garda e ci facemmo allegre risate, salvo alcuni - e alcune - che continuarono in modo tetragono a negare l'esistenza di un sì basso sentimento in loro stessi. Oh, come invidiarono le nostre risate!!!

grazie Gauss e saluti
L'invidiosissimo Solimano

Silvia ha detto...

Io ho scoperto che provo invidia solo se la persona mi è fortemente antipatica. Che poi non è invidia, è rabbia furente perchè quella bestia lì ha qualcosa di piacevole che a mio avviso non meriterebbe. Impossibile che provi invidia per una persona a cui voglio bene. Ho superato il test?

Solimano ha detto...

Piccole considerazioni paradossali.

Esistono vizi naturali (chiamiamoli così): invidia, competitività, ambizione, narcisismo. Ce li troviamo in casa, che li vogliamo o no ci sono. Niente di che: rendiamocene consapevoli e gestiamoli. Hanno la loro utilità, 'sti vizi casalinghi.

Esistono vizi culturali: meschinità, vendicatività, ipocrisia, menzogna, mancanza di curiosità, ignorantaggine, culturaggine, pilatismo, vigliaccheria, chiagni e fotti, adulazione. Ce li siamo costruiti noi, giorno per giorno, e muniti di cotanto pondo ce la prendiamo con i vizi naturali, fecendo i moralisti e le anime belle del gnegneismo a gogò nel reale e nel virtuale.

Non è una novità di questi giorni: la suddivisone secondo gravità dei peccati che fa Dante Alighieri nella Divina Commedia è quasi impeccabile. Ogni tanto, esplorare le Malebolge non farebbe male... Ma toccherebbe cambiare... meglio di no!
Tanto, l'invidia, il narcisismo, l'ambizione, la competitività noi non ce l'abbiamo, è roba altrui. E poi, cosa stiamo lì a discettare sulla natura, è la cultura che conta!

Che conti di più della cultura c'è solo l'amore, l'amore, L'AMORE!

Ma che cos'è, quest'amore?
Chiedeva Achille Campanile, evidentemente ignorantissimo.

Una parola pericolosa, se non ci si guarda dentro, e i vizi culturali fanno di tutto perché non lo si faccia.

saluti
Solimano