giovedì 17 dicembre 2009

Senza mai levar la schiena

Giulia

Nives si racconta mentre attende un piatto di riso, cotto alla piemontese con un bel bicchiere di vino... "perché il riso nasce nell'acqua ma muore nel vino!"; parla di sé, e della sua Italia, di un'Italia povera, in cui le donne andavano tutte a mondare, a strappare il riso all'acqua, "sveglia presto e quasi nessun soldo in tasca". Una storia che inizia nel lontano 1914, passando attraverso il ventennio, le risaie, la povertà del dopoguerra e l'emigrazione.

Dopo la guerra "il lavoro mancava, le macchine arrivate nei campi toglievano spazio alle mondine" ed è arrivato il tempo di dire addio al proprio paese e andare in Svizzera dove gli italiani venivano chiamati "maccheroni" anche se Nives i maccheroni non li aveva mai mangiati nè visti.
E anche lì "giù la schiena" hanno continuato a lavorare, sempre solo lavorare.
Nives racconta la storia di migliaia d'italiani che hanno dovuto lasciare il loro paese, parole che vengono da lontano, ma che non si possono dimenticare. Una storia, ricca di emozioni e canzoni (quelle delle mondine) .
Il testo è dell'attrice Laura Pariani che era presente allo spettacolo.
L'interprete è Manuela Massarenti, un'attrice versatile che ha saputo interpretare questo personaggio con una straordinaria umanità e bravura. Brave anche le cantanti Valeria Benigni, Paola Lombrado, Betti Zambruno.
Il regista Renzo Sicco ha cucinato durante lo spettacolo un ricco risotto che ha poi offerto al pubblico.
Una bella serata, dunque, al teatro della Cavallerizza di Torino.

Ho avuto l'onore e anche la gioia di lavorare con Manuela che ha studiato recitazione al Piccolo di Milano. Con lei e Adriana Zamboni abbiamo messo in piedi uno spettacolo per ragazzi intitolato "Di bullonite guarire si può". E' stata ed è un'esperienza che mi ha impegnato molto, ma che mi ha regalato molte soddisfazioni.
I ragazzi delle medie alla fine dello spettacolo hanno avuto modo di discutere e dialogare tra di loro su un problema che li tocca: la prevaricazione in classe. E vi assicuro che a riguardo hanno molto da dire e anche da insegnarci.

La foto di testa è tratta dal film "Riso Amaro" di De Sanctis di cui sono state proiettate alcune immagini.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Piacerebbe vedere, ascoltare...
Sai, Giulia, per le nostre donne la risaia era lo spauracchio dell'inverno. Quando la legna calava e il fornaio non ce la faceva più ad allungare le file dei numeri sul libretto dei crediti, si cominciava a pensare alla risaia.
Mia madre l'ha schivata per un pelo, ma tante tante sue amiche sono andate e sono tornate con la schiena rotta e le gambe piene di ematomi.
Mio padre mi raccontava della partecipazione di Guttuso ad una manifestazione mantovana. Si alzò una ragazza che faceva stagionalmente la mondariso: chiese a bruciapelo al pittore di guardarla bene perchè non era giusto che lui dipingesse le mondine senza volto. Proprio per non perdere la faccia ovvero la dignità, disse la ragazza, si andava in risaia...
Il pittore chiese scusa.
zena

Solimano ha detto...

Il film "Riso amaro" è quello che mi ha convinto ad adottare anche la vista logica Il lavoro, nel blog del cinema. Un grande film, scioccamente sprezzato dai sopracciò politici duri e puri perché mischiava il melodramma, erede dei fotoromanzi, alla lotta di classe. Da decenni non ci sono più i forotomanzi, in compenso abbiamo Il grande fratello e L'isola dei famosi. Non mi sembra un progresso.

Mia nonna ha fatto per anni la mondina, e ci raccontava. Ricordo bene due cose.
Come spiegava il modo di cantare, con una che lanciava il verso e le altre a seguire.
E come facevano con le biscie d'acqua: le prendevano per la coda, le ruotavano sopra la testa, poi le lanciavano verso un altro gruppo. Tutte a litigare ridendo (il ridere degli oppressi è una provvisoria liberazione).

Da piccolo, ho visto con i miei occhi un treno merci che trasportava le mondine: sedute nei carri, con le gambe penzoloni a prendere aria.

grazie Giulia e saluti
Solimano

Silvia ha detto...

Delle mondine mi parlava sempre Noni che lei la fece da ragazza e mi raccontava dei dolori alla schiena e delle biscie d'acqua e della poca paga.
A me, nata fortunata, rimane solo di cantare i loro canti che Noni intonava i giorni dei ricordi e della gioventù. E anch'io così la ricordo, bella di un'allegria di un tempo.
Se intona un canto di mondine, non c'è niente da fare, mi viene da piangere.

Non conoscevo questo episodio legato a Guttuso, Zena, grazie. Immagino il suo imbarazzo.


Che bella idea Giulia questa del risotto in scena! In un certo teatro d'avanguardia il tatto era anche preso in considerazione ma l'olfatto e il gusto mai. Almeno per quel che ne so io. Ma un risotto lo si può fare anche a casa si potrà obiettare. E' vero, ma non avrà mai lo stesso valore di una creazione in scena, di un valore simbolico che solo la rappresentazione artistica può dare.

Mi auguro che il vostro progetto, che so essere stato accolto nelle scuole possa essere di stimolo e di confronto il più possibile. Sulla qualità del lavoro non ho dubbi.
Un saluto caro

Anonimo ha detto...

Buona giornata, Giulia.

Ho aperto un sito-officina. Forse ti interessa.

Stammi bene.

www.pasqualemisuraca.com