Per quasi tutto un secolo dopo la scoperta dell'America si pensò che l’Eldorado, el indio dorado, esistesse davvero, nascosto nell’inesplorata e inabitata foresta equatoriale del Venezuela. I Welser, i banchieri di Norimberga, ci credettero al punto di acquistare a caro prezzo da Carlo V di Spagna la concessione dei diritti di ricerca e sfruttamento delle giungle venezolane per poi dilapidarvi un'altra fortuna con una mezza dozzina di infruttuose e disastrose spedizioni.
In Venezuela ci son andato anch’io, una ventina di anni fa, in una missione esplorativa di un mirabolante progetto aeronautico, cui sarebbero bastati due giorni per concludere che era ancor più illusorio dell’Eldorado. Ci mettemmo quasi due settimane, come trattenuti dal pensiero che in quelle terre l’impossibile potesse per incanto diventare probabile.
Base della nostra missione era Maracay sul lago Valencia, la ciudad high tech dei venezolani, sede della Fuèrza Aerea, mezzo milione di abitanti a circa cento chilometri da Caracas e venti dal mare. Clima tropicale, caldo umido e piogge improvvise al tramonto. Nei ristoranti i condizionatori buttavano aria così gelida da mettere i brividi, gioiosamente combattuti dai venezolani con il whisky (prima, durante e dopo il pranzo). L’uno e l’altra, il consumo di whisky e la temperatura degli ambienti erano evidentemente considerati importanti status symbol. Per il fine settimana una breve escursione a Puerto Colombia, dove le spiagge sono bianche e le case dipinte a colori pastello, come il mare.
A Maracay viveva una numerosa e prospera comunità italiana, che si raccoglieva (per la verità non tutta, principalmente quella che aveva fatto fortuna) nel suo grande e confortevole club, la Casa de Italia, di cui andava molto orgogliosa. Vi risuonava un divertente ”italiolo”, un italiano farcito di spagnolo, l’uno e l’altro pronunciati con una varietà di accenti che andavano dal veneto al siciliano. Ci fece gli onori de casa il fondatore e presidente Filippo Sindoni, un siciliano di grande imponenza, che si diceva fosse l’uomo più ricco di Maracay.
Era nato a Capo d’Orlando, e non nascose il suo compiacimento quando gli parlai della baia di Tindari e della sua tonnara, dove ero stato per le vacanze. Ci raccontò che dopo la maturità al liceo classico di Patti certe giovanili impertinenze gli avevano lasciato due sole prospettive “legali”, entrare nei Carabinieri o emigrare. Aveva scelto di emigrare. In Venezuela aveva costruito un impero industriale, pastifici, edilizia, materie plastiche, giornali, grandi magazzini, una rete televisiva. Per la sua storia imprenditoriale Scalfaro lo avrebbe in seguito nominato Cavaliere del Lavoro. In Italia aveva una figlia che studiava all’Università di Milano e un fratello già noto come regista, il Vittorio Sindoni che avrebbe firmato varie fiction TV di successo.
Tre anni fa, anche in Italia ebbe grande risonanza la notizia del sequestro di Filippo Sindoni ad opera di una banda di rapinatori, contro i quali il presidente Hugo Chavez, legato a Sindoni da sentimenti di amicizia e di riconoscenza, scatenò una caccia senza precedenti. Sapendosi braccati, i rapitori rinunciarono al riscatto e lo uccisero.
A questo punto, devo rivelarvi che era un'altra la storia venezolana che avevo intenzione di raccontare con questo post, ma mi sono lasciato prendere la mano dalle note di ambientamento "situazionale". Mi fermo qui, e da qui riprenderò alla prossima puntata.
Gauss
2 commenti:
Quante volte si parlò delle grandi opportunità del Venezuela!
A causa del petrolio, ma non solo, anche per la tipologia di immigrazione, specie italiana. Eppure, si è sempre lì, fra caudillismo e guerriglia, che alla fine diventano vasi comunicanti: nel guerrigliero di ieri si annida il caudillo di domani.
Su questo fenomeno, tipico dell'America centrale e meridionale, Elia Kazan, regista geniale ed uomo discutibile, fece forse il suo film migliore, che prima o poi metterò nel blog del cinema: Viva Zapata, con Marlon Brando ed Anthony Quinn.
Una coppia di amici giovani, marito e moglie, profittarono del bonus di uscita dal'IBM per andare in Venezuela, dove viveva ben sistemato il fratello di lui. Erano sicuri di sé... eppure dopo un anno tornarono in Italia e in ditta, un po' con la coda fra le gambe. Ho l'impressione che non avessero retto non per mancanza di opportunità, ma psicologicamente, ad una situazione basata più sulla cooptazione che sulla concorrenza.
grazie Gauss e saluti
Solimano
Ne so veramente poco di questo paese, e pochi ho conosciuto che l'abbiano visitato. Però so che ha rappresentato per un certo periodo un'irresistibile attrattiva. Quanto soddisfacente non lo so, per questo attendo nuovi sviluppi narrativi:)
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