Questa mattina mi sono soffermata su un pezzo scritto da Antonia Pozzi nel Natale del 1926: “Ho paura, e non so di che: non di quello che mi viene incontro, no, perché in quello spero e confido. Del tempo ho paura, del tempo che fugge così in fretta. Fugge? No, non fugge, e nemmeno vola: scivola, dilegua, scompare, come la rena che dal pugno chiuso filtra giù attraverso le dita, e non lascia sul palmo che un senso spiacevole di vuoto. Ma, come della rena restano, nelle rughe della pelle, dei granelli sparsi, così anche del tempo che passa resta a noi la traccia”
Ha solo quattordici anni Antonia Pozzi quando scrive queste parole. Sono i suoi sentimenti che provano tanti adolescenti nel momento in cui stanno crescendo e sentono che la fanciullezza si dilegua per lasciare spazio a un tempo che non conoscono, che non sanno che cos’è. In bilico tra passato e futuro come un equilibrista sul filo.
Soffrono, provano tempeste di sentimenti contradditori e cercano sempre qualcuno con cui condividere, parlare, confrontarsi.
Guardano al mondo dei grandi e, troppo spesso, trovano eterni fanciulli angosciati, presi dai loro problemi, che non sanno intercettare i loro segni di disagio o non sanno dare sicurezze e appoggio.
Quello che a loro fa veramente male non è il dolore, non è la sofferenza. Sofferenza e dolore appartengono alla vita, sono compagni fedeli di ogni esistenza. Quello che fa veramente paura è quel senso di solitudine che fa perdere il contatto con gli altri, con il mondo, con noi stessi. E’ l’incapacità di comunicare: proprio quando ne sentiremmo il bisogno, quando le parole e i pensieri invece di prendere consistenza, si dissolvono alla presenza dell’altro.
In questo modo il dolore si nasconde nelle pieghe dell’anima, indossa la sua maschera per presentarsi al mondo senza disturbare. E’ allora che diventa insidioso.
In questi giorni abbiamo fatto con due attrici uno spettacolo-dibattito con ragazzi e adulti. Ed è questo che tanti giovani di più scuole hanno raccontato nel silenzioso ascolto uno dell’altro. E’ stata un’esperienza molto bella, anche se ha lasciato molto su cui riflettere.
LA VITA
Alle soglie d'autunno
in un tramonto
muto
scopri l'onda del tempo
e la tua resa
segreta
come di ramo in ramo
leggero
un cadere d'uccelli
cui le ali non reggono più.
di Antonia Pozzi
Alle soglie d'autunno
in un tramonto
muto
scopri l'onda del tempo
e la tua resa
segreta
come di ramo in ramo
leggero
un cadere d'uccelli
cui le ali non reggono più.
di Antonia Pozzi
17 commenti:
Se io avessi potuto studiare, se potessi immaginarmi, come avrei voluto essere, nel mio immaginario penso a te.
Lucida, intelligente, analitica, precisa, colta, umile, ma soprattutto umana. Con quella sensibilità tipica di chi usa gli strumenti che possiede nel migliore dei modi, senza sprechi.
E' sempre bello leggere i tuoi punti di vista, le tue "raccolte emotive", le tue analisi. Mai superficiali, mai dejà vu, sempre colte, interiorizzate e presentate con grande semplicità, in modo che tutti ne possano godere. Grande pregio.
Grazie:)
p.s. credevo di aver scritto cose carine all'età di 14 anni. Schifezzuole confrontate con le cose scritte dalla Sig.ra Pozzi.
Giulia, non avevo ancora compiuto ventiquattro anni quando stetti sveglio tutta una notte, angosciato dal pensiero che il bello della vita fosse già passato.
Adesso sono qui, è trascorso un po' di tempo da allora (mettiamola così) e ogni giorno, anche il più travagliato, mi mette sul piatto qualcosa di bello, di veramente bello. E bello non perché mi sforzo di farmelo piacere, bello di per sé, e sorprendente.
Perché? Ho alcune risposte di cui in rete non parlo mai (non mi sono preso una depressione di un anno e mezzo a gratis, c'erano i motivi), ma una cosa la posso dire: il treno della vita è uno solo, non ci sono vite diverse su altri binari (magari ce ne sono alcune su un binario morto). Quel treno, su cui ci troviamo, volenti o no, va conosciuto bene, scompartimento per scompartimento (scegliamo gli scompartimenti ben frequentati), rendendosi conto che c'è chi non vorrebbe viaggiare, chi si procura il biglietto della tristezza e l'abbonamento alla malinconia, soprattutto chi si rifiuta di conoscere le regole del viaggio, che ci sono, solo che si volta la testa dall'altra parte, pur di non accorgersene. Fa comodo, non vedere certe cose che sono in noi e credere di accorgersi di altre cose che non esistono. I post de "L'amore intelligente" non li ho scritti per tirarmela da scrittore, ma perché avevo bisogno di far pulizia. Consiglio soprattutto la lettura del post più facile (credo anche divertente): "L'amore nei Baci Perugina". Dopo di che, è verissimo che soprattutto l'adolescenza è un periodo difficile: ci vuole tempo e fatica per apprendere ad amare e a stimare sé stessi, prerequisito indispensabile per poter amare qualcun altro.
Hai fatto benissimo, Giulia, perché è un tema importante su cui tornerò presto. Vorrei che di riflettesse sul fatto che il post "Il corpaccione del Romanticismo" non l'ho messo perché non avevo altre robe di cui scrivere, ma perché è ora che certe cose acclarate vengano conosciute. Il giochino di tutti i pulpiti è semplice: andiamo avanti con le vecchie storie così dai pulpiti nessuno ci fa scendere. E non solo pulpiti di religione, ma anche laici, laicissimi. Conosciamoci per quello che realmente siamo, resteremo per un po' a bocca aperta dicendoci: "Tutto qui?" Dopo di ché cominceremo a star bene con le persone con cui stiamo bene, scoprendo che ce ne sono tante.
Non per ottimismo, ma per realismo.
grazie Giulia e saluti
Solimano
Sai Giulia, io sono sempre un po' perplessa quando si parla di comunicazione tra giovani e adulti, con particolare riferimento all'adolescenza.
Tu da insegnante ne avrai viste tante, quindi puoi parlare con più competenza.
Io ho solo i miei ricordi.
Ma quelli ho, e per quel che mi ricordo a quell'età non ce n'era una, dico una, tra le mie amiche, che avesse un rapporto di apertura con i suoi ( e mi ci metto anch'io, ovviamente).
Poi siamo cresciute e chi più, chi meno, ci siamo riappacificate.
Forse una spaccatura, per quanto dolorosa, è inevitabile.
Forse quello che gli adulti dovrebbero dare, più che la comunicazione cercata a tutti i costi, è l'esempio.
Dio, come mi sento all'antica a dire così!
Eppure adesso che mi trovo a dover affrontare certe situazioni da adulta non mi viene in mente di andare dai miei a confidarmi, però spesso penso: "cosa farebbe babbo al mio posto? E mamma?". Non è detto che io poi mi comporti come loro, ma sicuramente il loro esempio pesa sul piatto della bilancia.
Ripeto, non ho le idee chiarissime, ma per istinto sono portata a diffidare di un genitore che voglia essere a tutti i costi amico del figlio.
Grazie Silvia, per quello che dici, davvero non credo di meritarlo, ma me lo porto a casa perchè scritto da una cara amica che sempre di più apprezzo e stimo e non solo.
Certo leggere per me è per me arricchirmi umanamente. Non amo una cultura che non mi regali qualcosa per capire meglio la vita. E mi piace questo tuo chiamare il tentativo di analizzare qualcosa "una raccolta emotiva!, perchè è proprio quello che sento e vivo.
Solimano, è vero che poco sappiamo apprezzare quello che la vita ci porge di bello, di sorprendente. Sono d'accordo, ma ci sono situazioni, stati d'animo, momenti in cui tutto può essere velato da una nebbia, da un qualcosa di inafferrabile che non sempre si riesce a controllare. Non mi sento di dare giudizi così netti come li sai dare tu. Ho incontrato molte persone, tanti ragazzi nella mia vita e la pluralità delle situazioni oggettive e soggettive e talmente enorme che non so giudicare e non voglio. Posso solo cercare di accostare chi posso e quando posso con grande "umiltà" (una parola molto abusata, ma che ha per me un grande valore fuori da certi contesti.
Cara Barbara, non c'è persona più perplessa di me quando si parla di comunicazione o non-comunicazione tra adulti e giovani. Spesso non c'è, spesso è forzata, spesso non è quella che si crede.Non credo nell'adulto-amicone. E sono anche d'accordo che spesso è scontro e in un certo senso, guai se non lo fosse: il giovane va verso l'autonomia e il distacco non è indolore.
Non sei arretrata quando parli di "esempio", serve eccome.
E' chiaro e naturale che la comunicazione, la confidenza avvenga più tra pari, ma a volte purtroppo è proprio qui che viene a mancare. Io ho passato molto tempo con i ragazzi e non ho smesso e mi hanno insegnato tantissimo. La prima cosa è che non ci sono ricette, non ci devono essere, ma che comunque gli adutli non possono liquidare i giovani con "ai nostri tempi...".
L'altra sera hanno parlato per due ore dopo uno spettacolo che abbiamo preparato tempo fa: e hanno smitizzato tanti luoghi comuni con cui la televisione i giornali ci bombardano.
Ma sarebbe molto lungo raccontare...
Grazie a tutti
Quello che si sta dicendo nei commenti a questo post lo trovo molto significativo. Stiamo giocando una doppia parte: noi verso i giovani (allievi, figli) e noi da giovani verso i grandi (professori, genitori). Le due parti sono al tempo stesso in collegamento ed in antinomia.
Cerco di non dilungarmi, inserirò un altro commento nei prossimi giorni e vado per approssimazioni successive.
Una domanda preliminare: se considerassimo il rapporto giovani/anziani come un conflitto di interessi ineliminabile, che può essere superato e visto diversamente solo in fasi successive della vita, non sarebbe meglio? Invece di partire da un presepe che nei fatti non c'è e non ci può essere? Difatti sono sicuro che noi tutti, durante la vita, abbiamo cambiato e di molto la nostra opinione sui nostri genitori. Perché dico questo? Perché, se non si fa così, si va avanti con le colpevolizzazioni, e questo non aiuta. I giovani cercano l'autoaffermazione e debbono costruirsi un proprio centro. La fanno con fatica e con tensioni, delimitando ed ampliando il proprio spazio.
Un conflitto negato è peggio di un conflitto visto, accettato come mezzo di crescita e di superamento. Il che significa accettare che gli esseri umani non siano come li immaginiamo ma come sono. Ma siamo preparati, a questo? Sappiamo come stanno veramente le cose o ci basiamo su sicurezze oggi falsificate dalle scoperte della biologia, dell'antropologia e dell'etologia? Non a caso non ho inserito la psicologia, che preferisco ridurre ad una serie di griglie utili di interpretazione. E mi fermo qui (per il momento).
grazie
Solimano
Hoops, Giulia: il commento che avevo postato nel pomeriggio dev'essere stato mangiato dalla connessione! Ne metto un altro, fatalmente diverso.
Nelle ultime settimane m'è capitato di parlare con diversi educatori: insegnanti, preti, bibliotecari, sportivi... C'è una fascia d'età, quella dagli otto agli undici anni, che è oggetto di una concorrenza vivacissima: tutti organizzano attività per questi bambini e tutti cercano di accaparrarsi i loro sabati e domeniche. E' un'età in cui già c'è autonomia di pensiero (di un pensiero ormai adulto, per quel che riguarda il regno dell'intelletto), ma c'è ancora la facilità nel farsi coinvolgere e nel riconoscere figure adulte come riferimenti magistrali.
L'età appena successiva, dagli 11 ai 13, è la più negletta. Non sono ragazzi e ragazze che accettano qualsiasi cosa, hanno una chiara percezione di ciò che non vogliono. Hanno un carattere ombroso e incostante, giudicano severamente chi vuole insegnar loro. Il volontariato educativo sta abbastanza alla larga.
Il tuo post spiega dall'interno perché ciò accada. E spiega anche perché tante società abbiano posto proprio a questo compiere d'anni, tra i dodici e i tredici, tutta una serie di prove che dimostrino che s'è usciti dall'infanzia e che non c'è possibile sguardo all'indietro.
Un tempo pieno di potenzialità, ma anche (e forse proprio per questo) pieno di angosce. Un'età in cui l'aspetto, per così dire, "totipotente" del proprio tempo comincia a svanire. In cui si vedono per la prima volta le cose mentre vanno perdute: occasioni, amori, amicizie (e non c'è certezza che si avranno altre occasioni, altri amori...). Dico così andando un pò a memoria, un pò cercando di interpretare il silenzio (silenzio sulle cose piene di senso, almeno) in cui ho visto sprofondare i miei nipoti a una certa età, quando parlano con lo zio.
[Eppure c'è anche dell'altro, se ricordo bene il passaggio mio e dei miei amici attraverso questa età. Magari ne parlo un'altra volta.]
Ciao e grazie,
Maz
PS Nei tuoi post c'è una speciale attenzione agli altri, che io (che non so descrivere se non me stesso, sperando di descrivere qualcosa di vissuto anche da altri) non provo nemmeno a imitare.
Il rapporto giovani/adulti "un conflitto di interessi ineliminabile"? Certo che lo è e lo deve essere, ma a volte, non si tratta di questo. Io non amo le teorie astratte anche se le ho studiate molto e continuo a studiarle. Mi piace vedere come si concretizzano in realtà nelle sue mille sfaccettature e mille è dire poco. E non credo certo alle visioni tipo "presepe"... Quindi in linea dui principio sono d'accordo.
Caro Maz, ciò che dici è profondamente vero. C'è un accaparramento di certi giovani per farne oggetto di progetti e quant'altro. Quando forse avrebbero bisogno di più "spazi liberi" lontano dagli adulti.
Dagli undici anni i ragazzi sono più difficili, sono in un'età di passaggio che però è molto affascinante: li ricevi bambini nella scuola, escono che sono "quasi" grandi. Quello che verifichi è che oggi gli adulti ne hanno quasi "paura" quasi fossero come "alieni"... Ed è un periodo per chi lo vive difficile che va attraversato per crescere, ma ci sono momenti, passaggi in cui l'adulto dovrebbe fare la sua parte.I modi dipendono da tante cose e non ci sono regole nè tanto meno ricette.
Maz, io ho vissuto sempre in mezzo ad "altri", se non facessi attenzione forse non avrei nemmeno cercato di fare al mio meglio la mamma e l'insegnante... Con questo ho imparato dai tanti errori che ho fatto, perchè davvero ci vuole tanta "umiltà" e nello stesso tempo la volontà di mettersi in gioco: nulla è mai uguale. E di errori ne faccio ancora molti.
Grazie e buona domenica
Ecco la parola magica, Giulia, la parola errore. Perché gli errori si fanno, non c'è verso. Però quanti genitori specie nella fascia 30-40 anni ammettono di aver commesso gli errori? Non genericamente, perché non costa nulla ammettere che ogni tanto si sbaglia, ma quell'errore preciso, specifico, successo in quel giorno col figlio. Qui sono spesso tetragoni come dei muli e dei muri. Lo pscicoterapeuta da cui andai durante la depressione, mi disse che è in gravi difficoltà la trasmisione dei valori. I genitori desiderano che il figlio non abbia problemi a scuola e sono disposti a spendere per inserimento sociale: palestra, nuoto, sci. E credono che finisca lì. Con l'aggravante che il figlio adolescente sarebbe disponibile a modificare, cambiare etc ma sono loro che si sono cristallizzati in cattive abitudini che credono normali. Per cui, paradossalmente, può essere più efficace con i ragazzi l'intervento magari casuale di qualcuno esterno al nucleo familiare (professori etc).
La cosa che mi colpì è che la maggior parte dei clienti dello psicoterapeuta fossero giovani sotto i vent'anni. Con gli errori occorrono tre cose: accorgersene, dirlo a se stessi e dirlo agli altri, specie a chi si è trovato di fronte all'errore ed ha subito le conseguenze dell'errore. Ammettere l'errore è segno di forza, non di debolezza.
E mo' vado con mia moglie a votare alle primarie, sperando che non siano stravaganti né contro natura eh... eh...
saluti
Solimano
Il commento di Maz mi ha fatto venire in mente un paio di cose.
Anche io sono tra quelli che cerca di riempire i pomeriggi dei bambini, nello specifico la domenica pomeriggio con le nostre letture animate.
Io però mi trovo nella situazione inversa.
Facilissimo trovare letture che coinvolgano i piccoli dai tre ai sette anni. C'è una letteratura vincente e sterminata a cui attingere. Se poi ci si trova in difficoltà basta andare a piangere sulla spalla del vecchio Rodari e si sta in una botte di ferro.
Ma dagli otto in su c'è da sudare. Bisogna preparare la lettura con estrema cura e scegliere il brano standoci con la testa, perchè si rischia o di farla troppo difficile o di incappare in quei bimbi che si sentono già grandi e ti guardano come se fossi un'idiota (e questo ti fa sentire davvero il più grande degli idioti).
Comunque anche qui qualche piccolo asso nella manica c'è, e alla più brutta ci si butta sui soliti nomi sicuri.
Dopo i dieci anni la lettura ad alta voce è quasi sempre inefficace. Credo che a quell'età chi abbia colto il messaggio (=leggere è bello) ormai gradisca farlo da solo, ma se anche si avvicina alla rappresentazione trovare qualcosa che lo colpisca e meravigli è davvero dura. Quasi impossibile. Io ci sono riuscita solo un paio di volte, in situazioni in cui i brani in questione erano davvero particolari, ma ammetto di essere davvero in difficoltà. Inoltre in quell'età i gusti si differenziano tantissimo tra maschi e femmine, così un testo he può piacere agli uni stai tranquillo che fa schifo agli altri.
Capita spesso che le scuole della zona vengano a fare delle piccole uscite da noi, e in quelle occasioni io leggo per i ragazzi.
Tutto questo si traduce così:
-Scuole d'infanzia: me la scialo e improvviso con sommo divertimento mio e dei piccoli
-Scuole elementari: preparo la lettura il giorno prima, con professionalità e precisione (e Franti che mi prende in giro)
-Scuole medie: già quattro giorni prima c'ho il mal di pancia, cambio lettura sei sette volte prima di decidere (e alla fine faccio sempre i soliti due brani).
Ma non mi arrendo, e prima o poi troverò qualcosa che li colpisca! Sono anche aperta ai suggerimenti ;-)
Vedi Barbara, hai ragione anche tu a dire che è difficile coinvolgere in particolare ragazzi delle medie. A scuola molti lo fanno con la severità, il voto, ma il problema è arrivare davvero a loro. Io a freddo non so dirti con quali letture puoi coinvolgerli, perchè a scuola si lavorava insieme, c'era tempo (anche se dicono che non ce n'è mai) e allora ho fatto con loro letture che nessuno avrebbe mai creduto potessero fare. Ma non li ho mai sottoposti a quella serie di domande e domandine che ci sono nei libri di narrativa venduti per la scuola. Si prendeva il libro in mano ed insieme lo esploravamo.
Ma in un piccolo spazio di tempo non è facile. Così pian piano si sono sempre appassionati alla lettura, magari partendo da libri che qualcuno aveva letto per conto proprioe che consigliava ai compagni. Poi proponendone io alcuni e lascaindo alla fine che il loro giudizio fosse schietto e sincero.
L'altro giorno abbiamo fatto proprio uno spettacolo partendo da loro testimonianze a cui abbiamo aggiunto dialoghi di due attrici, immagini e musica: un allestimento che non richiede un teatro, ma che ha avuto bisogno di un'artista-attrice ed un'attrice molto brava. Per questo lo spettacolo li ha colpiti ed emozionati ed hanno discucco moltissimo e davvero in modo sorprendente.
La lettura comunque se può non piacere a qualcuno, piace ad altri ed è giusto che per ragazzi più grandi sia così. Farli partecipare alla scelta? Parlare prima con loro di lettura? Presentare insieme ad alcuni libri cha scelgono? Per le classi medie poi c'è un problema in più: quello che piace a loro spesso non piace agli insegnanti.
Auguri, non desistere
L'esperienza pratica di Barbara è molto convincente, nei pro' e nei contro in cui si imbatte nelle varie fasce d'età.
L'ho letta e riletta perché nel lavoro ho dovuto frequentemente parlare in pubblico ad uditori diversi come composizione, come numero, come età, come sesso. Ma non la faccio lunga, ci scriverò prima o poi un post o due, qui dico solo che si dovrebbe passare dallla lettura animata alla oralità, che non è un sinonimo strano e sfizioso, è il recupero della fase primigenia, che è appunto quella orale e che chiamiamo impropriamente eloquenza, con un eccesso di culturizzazione.
Siamo attrezzati per farlo, se vogliamo (chi più chi meno, ma le possibilità di miglioramento sono grandi).
saluti
Solimano
Cara Giulia, ha una sincronia così forte con questi miei giorni, il tuo scritto, che mi immagono e non riesco a scriverne.
"Ho paura" è l'espressione che una mia ex allieva di sedici anni è venuta a mettermi fra le mani, qualche giorno fa.
Forse, cara Zena, hai ragione. Non serve molto parlare di giovani, serve molto di più parlare con loro come mi sembra faccia tu e come cerco anche io. Ma credimi, mi sento tanto piccola e insignificante...
Un giorno ci racconteremo con più calma...
Un abbraccio
Il magone è proprio per il senso di impotenza che mi accompagna: anche se qualche volta, per un accumulo di star male, si socchiude una finestra e un adolescente comincia a dirsi, ci si sente apprendisti stregoni...
Io mi sento sguarnita e senza risposte.
Il sentirsi "impotenti" forse è la premessa essenziale per non esercitare quel "potere" di adulti che per lo meno oggi, anche per chi ci crede, funziona sempre meno.
E' forse la premessa necessaria per ristabilire il "rispetto" 8Condizione necessaria per qualsiasi forma di rapporto) e anche quella distanza necessaria perchè trovino uno spazio di vera autonomia.
Questo vuoto che sentiamo noi quando siamo in presenza dei giovani è quello che forse sentono loro di fronte ad un mondo-adulto incapace di aiutarli a guardare il futuro, un futuro che appunto fa loro "paura" come lo fa a noi.
Ma ci sono tanti giovani che sono una speranza per noi, io ne ho incontrati molti più di quanto non si immagini.
Giulia: rispetto e distanza, sì. I giovani apprezzano, basta osservare gli adulti che veramente gradiscono ed ascoltano. Ma non esageriamo a parlare di impotenza? E non denigriamo i termini potenza, potere, forza? Certo, c'è il risvolto bieco di queste parole, ma c'è anche il risvolto efficace, fattivo.
Il risultato diventa un anarchismo intessuto di insicurezze, non di strade nuove praticabili. E qui gioca la nostra visione a volte più rivolta ai poverini che ai poveri. Il poverinismo cattolico per cui viene facilmente perdonato il nullafacente che quello che fa qualcosa, che dà fastidio proprio perché fa, al di là delle scuse che si tirano fuori. Basta vedere quali sono i professori che, al di là delle facili batture, sono ammirati dai ragazzi e dalle ragazze.
saluti
Primo
Posta un commento