martedì 21 luglio 2009

Insetti impollinatori

mazapegul

La mia aiuola si riempie, in primavera, d'insetti impollinatori: api, vespe, calabroni, bombi e altri che non conosco. Ho imparato di recente che anche molte specie di pipistrelli sono impollinatrici: i chirotteri sono sempre pieni di piacevoli sorprese.
C'è un insetto, in particolare, di cui cerco da anni il nome. Ha un corpo grosso, giallo e nero come quello di un'ape, ma ha delle ali un pò più grandi e, soprattutto, prende il nettare con un tubicino attorcigliato a spirale che, con sorprendente velocità, raddrizza e inserisce nel centro del fiore quando vi si trova sopra. Come impollinatore deve valere ben poco, perché il fiore nemmeno lo tocca: ne sifona via il nettare da qualche centimetro di distanza, come gli aerei che fanno rifornimento in volo. Solo in questi giorni ho trovato l'informazione: il tubo aspirante è una "spirotromba", che qualifica l'animaletto come falena diurna (mi pare più falena che farfalla). Per qualche ragione, questa falena cerca di sembrare un'ape: certamente non per ingannare gli osservatori pigri come me; forse si tratta di un bluff giocato contro i suoi predatori ("attenti, la mia puntura è dolorosa"). Credo che si tratti di una qualche Lepidoptera Sphingidae, su cui rimando a wikipedia o altre fonti.

Gli insetti impollinatori e la loro relazione con le piante (e con l'agricoltura!) sono un bell'esempio di come, in natura, per via di competizione (con altri insetti, per esempio) e selezione, si arrivi a forme di collaborazione. Si giunga, cioè, a quel complesso sistema che è l'habitat. E' anche per questo, oltre che per il piacere in sè della varietà, che mi piace che ci sia anche di questa fauna nella mia strisciolina di terra.
Il passo di Leopardi sul giardino che ci ha dato Solimano è pieno di verità, ma è anche parziale e -talvolta- tendente all'antropomorfismo. Il fiore delle cui sofferenze Leopardi si preoccupa, per esempio, non è la pianta in sè, ma è -infatti- il risultato della co-evoluzione di piante e insetti (piante che fanno a gara nell'attirare gli insetti, insetti che fanno a gara nel succhiare nettare dalle piante). Insomma, come doveva sapere bene Leopardi, anche se Darwin era là da venire, il fiore è del tutto strumentale. Se dovessi fare una scommessa sulla "sede del sentimento" delle piante, non avrei dubbi: l'anima delle piante sta nelle loro radici. Più vicina ai lombrichi, che ai poeti. E la radice, sentendo che il fiore viene ripulito dal nettare, prova certamente un brivido di piacere.

4 commenti:

Solimano ha detto...

Màz, mentre leggi il libro a tua figlia, ti scrivo una cosa che poi leggerai qui. Il brano del Leopardi ha anche un altro difetto (a parte che è bellissimo): non è mica detto che nelle piante ci sia tutta quella sofferenza.
Umberto Veronesi (mi pare fosse lui), quando ci fu la discussione sui diritti dell'embrione, per stabilire quale fosse il momento di esistenza in cui l'embrione come tale divenisse possessore di diritti, osservò che doveva coincidere con lo sviluppo del sistema nervoso che trsmettesse l'informazione del dolore (uso una terminologia probabilmente inappropriata). E' un argomento che trovo convincente, perché non si riesce a dare sofferenza a un organismo che non si accorge di soffrire. Ora, le piante, come sono messe, sotto questo aspetto? Quando cadono, le foglie soffrono, oppure sentono solo un po' di solletico o niente di niente ecchissenefrega delle foglie?
A parte la lieve paradossalità del discorso, il ripristinare la sofferenza al suo posto primario, quello di segnalazione di un pericolo con cui misurarsi, non sarebbe poi male, in questo mondo di sofferenti a cottimo, di stakanovisti della sofferenza, stakanovisti poi stupidi, perché nessuno gli paga lo stipendio, che sarebbe l'evitamento del pericolo segnalato dalla sofferenza.
Chissà! I volontaristi della sofferenza (propria ed altrui) sono in fondo dei coraggiosi: il pericolo è il loro mestiere, ci si buttano a pesce. Mentre noi epicurei siamo dei vigliacchi perché ci piace star bene e quando c'è un pericolo scappiamo a gambe levate. Da cui "L'elogio della fuga" di Laborit ed altre profondissime considerazioni. Nel film Tutti a casa (mi sembra) c'è la mitica frase da 8 settembre: "La parola d'ordine è una sola: scapuma!"

grazie Màz e saludos
Solimano

mazapegul ha detto...

Caro Solimano, concordo nel rifiuto di antropomorfizzare la natura tutta, e anche nella necessità di considerare la sofferenza, in prima istanza, nella sua dimensione naturale. Bisogna anche fare attenzione, poi, a non isolare troppo l'uomo (le cui esperienze conosciamo di prima mano) dagli altri animali. Anche se questi, a parte quelli che ci sono molto vicini, hanno un sistema nervoso così diverso dal nostro che pare difficile dire cose molto precise; almeno al non esperto.
Leopardi, (non vorrei essere apparso troppo arido) comunque, credo volesse più che altro svelare un ritratto troppo ottimistico della natura. Ai suoi tempi, come ai nostri (come in ogni tempo), l'immagine che ci facciamo della natura è anche una potente metafora che utilizziamo per guardare alle cose umane, e per trarre conclusioni generali sul senso delle cose e della vita.
Ciao e grazie,
Maz

annarita ha detto...

Anche io da bambina mi chiedevo se gli alberi soffrissero a perdere le foglie. temevo fosse come il mio cascar di denti da latte, che non volevano saperne mai di cadere da soli a mi obbligavano a farmeli tirare dalla mamma risoluta, che poi mi stringeva da matti la gengiva perché quello sotto crescesse dritto. Lo so, sono andata fuori tema... ;-p
È soprattutto per sdrammatizzare i vostri colti interventi :-))
Salutissimi, Annarita

Anonimo ha detto...

http://it.wikipedia.org/wiki/Macroglossum_stellatarum

Questo è il link dell'insetto sulla foto che hai messo...
E' la Sfinge Colibrì =)