venerdì 10 luglio 2009

Cambiamento di prospettiva

mazapegul

Dalla prima liceo della matematica mi piaceva l'aspetto grandiosamente ordinato, eppure pieno di paesaggi e particolari immaginifici e affascinanti. Vedevo la disciplina come un grande albero frondoso, ben radicato in assiomi continuamente soggetti al corroborante lavorio critico dei logici. Un tronco crescente di conoscenze di base si divideva in rami corrispondenti alle diverse discipline: geometria, algebra, logica matematica... Poi, dividendo e ramificando, si arrivava su su fino ai rametti ancora non lignificati e alle foglie; ai germogli dei problemi aperti e delle nuove sotto-discipline. Questo immenso albero tropicale cresceva sotto la pioggia delle scienze, col suo afflusso costante di problemi; ma anche spinto da una propria dinamica interna.
Ho passato poi anni nel mestiere, a fare le mie foglioline sul mio piccolo rametto; osservando con ammirazione quelli che da soli riescono a far germogliare un grosso ramo, magari dove sembrava che l'albero non potesse proprio espandersi; a recensire il lavoro altrui, mentre altri recensivano il mio.
La mia idea della matematica é oggi alquanto diversa. Più che la crescita armoniosa di un albero, mi pare di vedere nel suo farsi uno di quei castelli di sabbia che si ottengono facendo gocciolare la fanghiglia dalle mani: pezzi senza senso; torri che crescono in magnifiche architetture gotiche e che all'improvviso crollano su se stesse; parti lasciate troppo al sole che s'asciugano e disfano; graziose casette che crescono separate una dall'altra fino a che non s'uniscono a formare un informe mucchio di sabbia bagnata.

7 commenti:

annarita ha detto...

Niente più un procedere a mappe mentali, mi par di capire. Ma tra me e la matematica non è mai corso buon sangue e un po' mi dispiace. ogni tanto mi dico che dovrei prendere in mano qualche buon testo, ma la letteratura è la mia sirena e poi adesso sono in fase creativa, il che vuol dire brandelli di pensieri che rigurgitano a tutte le ore del giorno e della notte, penne e quaderni in giro, ricerche su internet e altre amenità varie. Lascio la matematica a chi come te la padroneggia da maestro :-)

P.S. In fondo ti invidio, perché sai anche scrivere, e molto bene!
Salutissimi, Annarita ;-p

Silvia ha detto...

Maz, io so che tu hai scritto cose intelligenti, ma io sono messa peggio di Annarita e di matematica proprio non ne so, anche mi affascina molto. Per cui non volermene se non apporterò nulla al tuo bel scritto. Guardo la forma, almeno:)Volevo solo lasciare un saluto.
buona giornata

Amfortas ha detto...

La matematica ha sempre soddisfatto il mio bisogno di chiarezza e controllo, non per nulla feci lo scientifico prima e il biennio all'università dopo, con ottimi risultati.
Allo stesso tempo, ci trovavo quella punta di umorismo che cerco sempre di scovare nelle persone e nelle scienze: le dimostrazioni per assurdo soddisfavano le mie esigenze :-)
Ciao!

Habanera ha detto...

Imre Toth
"Sapete perché la matematica è una scienza esatta? Perché parla di cose che non esistono. Mi sono reso conto che, da questo punto di vista, la matematica si può comparare piuttosto all’arte, perché ci sono solo due forme di sapere esatte: gli Elementi di Euclide e Madame Bovary di Flaubert. Sembrerebbe una boutade, ma non lo è”.

Ciao Màz, ben ritrovato
H.

sabrinamanca ha detto...

Come amfortas ho sempre trovato certa matematica rassicurante. A volte facevo decine di esercizi per calmarmi e ogni esercizio era un attimo di pace e di soddisfazione guadagnato. Parlo di matematica spicciola, naturalmente, integrali, derivate...ma tu perché hai cosi' radicalmente cambiato opinione?

Solimano ha detto...

Màz, non so.
Però storicamente è successo che in matematica e in fisica e in meccanica razionale e in geometria analitica etc etc si siano determinate delle situazioni in cui si procedeva a tentoni (a dentoni, direbbe l'Insigne Quelo), affogati fra numeri, teoremi, tentitivi vani di sistemare la casa. Poi arriva ad esempio Maxwell che con quattro equazioni fa le pulizie di Pasqua.
Il fatto che l'esplorazione probabilmente non porti a niente o a uno sgocciolamento di sabbie senza più significato, non è un buon motivo per smettere di esplorare. Gli esploratori cercano, ma non c'è la garanzia del ritrovamento, come quando si va a funghi. Ma capisco che il tuo discorso è più vasto del successo o insuccesso di una singola ricerca. Ci sono sempre le retrovie da istruire e personalmente faccio parte delle retrovie di quelli che si divertono ancora se riescono a capire i numeri complessi. Mercà di noi, direbbe il poeta. La matematica è servita e serve. Servirà ancora? In quale forma, con quali obiettivi? Con i soldi di chi?
Comunque far castelli di sabbia non è male, Vittorio Gasmann dedicò una divertentissima tirata nel Mattatore ad una grande arte: fare buchi nella sabbia. Personalmente preferisco fare il plucista, quello che butta i sassetti che fanno pluc entrando nell'acqua, ma ero bravo a far saltare i ciottoli piatti a rimbalzello sull'acqua: sono arrivato a sette balzi, una volta.
E comunque, Màz, se va buca la matematica ti si apre un radioso futuro di Scrittore, visto il livello di questo brano.

grazie e saludos
Solimano

mazapegul ha detto...

Carissimi tutti,
scusate se non vi rispondo singolarmente per la fretta maledetta. Non preoccupatevi (o non gioite!); il mio mestiere continua a piacermi. Quello che è cambiato è il modo di vederlo. L'aspetto di albero frondoso e ordinato lo si vede meglio da lontano; così come un prato è un prato da una certa distanza, mentre -se lo guardiamo con l'occhio a dieci centimetri da terra, ci appare come un disordinato accostamento di fili d'erba più e meno sani, terriccio, un formicaio e il ragno che sta muovendo al suo assalto.
A me, personalmente, piace anche questo secondo aspetto del prato. E mi piace anche quel secondo aspetto della matematica (o, se è per quello, di ogni umana impresa; questo blog compreso). L'importante è evitare i due opposti pericoli: la Cariddi della semplificazione estetica (chi guarda il prato da lontano); la Scilli del cinismo (di chi non vede più nessun prato e nega che di prati si possa parlare).
Maz