lunedì 20 luglio 2009

Autentico/inautentico

mazapegul

Si tratta di una dicotomia da trattare con cura: si rischia di cadere nel tutto-è-autentico, così come in una sterile ricerca di radici essenziali. E non sono rischi innocenti: chi ha il potere di decidere ciò che è autentico, ha il potere di includere ed escludere. Eppure bisognerà pure porsi il problema, quantomeno. Ciò che faccio per via d'esempi.

Ricercando l'autenticità, i "ripristinatori delle forme originali" hanno ridotto, sbaroccandoli, gli interni delle chiese di mezza Europa a dei capannoni. E' andata meglio con quei progettisti di parchi archeologici che quantomeno hanno ricercato un effetto "alla Piranesi": riportare la rovina classica a quella visibile ai viaggiatori preromantici (punto di vista, quello romantico, assunto come privilegiato). In questa maniera, hanno conservato uno spessore storico, una traccia del tempo: non tornare agli inizi, ma a un punto convenzionalmente medio tra noi e l'opera. (Ma in che senso ciò è "autentico"?).

Più facile è il discorso sulle "feste storiche". Mentre queste si perpetuano inconsapevolmente, hanno un che di genuino. Nella festa di San Nicola a Vipiteno, dove il santo era seguito da un gruppo di diavoli mascherati che facevano scherzi abbastanza crudeli alla gente che assiste alla processione dal ciglio della strada, si capisce che c'è dietro una tradizione antica: le fratellanze dei giovani maschi, il confine tra vita e morte, e via andando. Lo si capisce meglio perché non viene spiegato; quindi il divertimento (cattivo) dei giovani è autentico; e -non sapendo bene quale sia l'"essenza" della festa- a nessuno viene in mente di "ripristinarla", o di eliminare ciò che appare rispetto ad essa "accessorio" (e che magari, a più approfondita indagine, risulta essere ancora più essenziale).
Triste è invece il destino delle feste tradizionali che vengono restaurate, aggiungendo magari un corteo in abiti quattrocenteschi, o gli sbandieratori, o dei tamburi che -immancabilmente, anche nella festa più allegra- suonano come quando si porta il condannato al patibolo. Così travestite, queste feste finiscono con l'assomigliarsi tutte tra loro, e tutte insieme a Excalibur.

E un discorso andrebbe anche fatto sulle traduzioni letterarie, che invecchiano prima del testo (magari antichissimo) che viene tradotto. [Eccezioni notevoli: Foscolo-Catullo; Pound-Cavalcanti...] Anche qui, c'è un deficit d'autenticità che si mostra, se non subito, comunque nel volgere di pochi anni.

9 commenti:

Silvia ha detto...

Mentre leggevo pensavo al gioco della ruzzola. Una tradizione antichissima rimasta invariata nel tempo. Il discorso è molto interessante, e non vorrei fare l'avvocato del diavolo. Ma certe ristrutturazioni festaiole così dette tradizionali, in realtà non celano il bisogno di quattrino?
In un momento di grande recupero della storia, dell'origine di un luogo, della tradizione locale, i costumi, il palio, il corteo, la scenografia non sono solo a vantaggio della pecunia? Perchè di tradizionale forse, come ben dici c'è proprio poco, è solo apparenza.
La tradizione nella sua definizione più comune, non è una trasmissione di usanze, leggende, abitudini quotidiane, tramandate di generazione in generazione? Noi dell'area matildica, della festa in costume ne abbiamo fatto un vanto, rubando un pochino l'interesse alla vicina Toscana che vanta tradizioni di giostre medievali ben più ricche delle nostre. Tuttavia la ruzzola ritengo che mantenga il nocciolo della vera tradizione, perchè se si vanno ad interrogare i reggiani sulla storia di Matilde, anche se ormai l'hanno ascoltata venti volte, i più non se la ricordano per niente, ne sono certa.
Non vorrei che ci fosse un discorso analogo a riguardo del ripristino d'autenticità architettonica. Non tanto legato ad un discorso lucroso, quanto ad una corrente di pensiero vincente e condizionante rispetto ad altre. Questo non significa che fosse quella giusta però. Ma non ho gli strumenti per valutare tutto ciò, attendo le vostre opinioni.

Barbara Cerquetti ha detto...

Non so, io mi sono un po' persa.
Credo sia un po' sbagliato assumere un principio unico come metro di quwestioni del genere.
Es. la ruzzola sarà anche autentica, non dico di no, ma una volta ho assistito ad un torneo e dopo dieci minuti mi sono addormentata per la noia.
La quintana di Foligno è una festa da parata, forse non troppo autentica, con quei costumi preparati ad hoc, ma io mi ci sono incantata per ore a guardarli sfilare.

Però rileggendo quello che ho scritto sembrerebbe che il principio allora dovrebbe essere se è divertente o meno, ma anche questo non sarebbe corretto.

Mah, con le feste non si sbaglia, più ce ne sono e meglio è, che siano autentiche o posticce, quando c'è da ballare e da volesse bene non si sbaglia mai.
Molto più complicato il discorso se lo spostiamo all'architettura...

mazapegul ha detto...

Silvia e Barbara: il tema dell'autenticità è importante, anche se forse non fondamentale, e da prendere sempre con humor. Mi piace l'esempio della ruzzola: si tratta di cosa vera, se è vitale. Ma è vero anche quello che dice Barbara: se ci si annoia, che autenticità è? Che relazione c'è tra autenticità e coinvolgimento?
Quello che mi premeva dire è che la sensazione di autenticità è spesso legata a un processo che si svolge nel tempo. Si potrebbe dire che è proprio questo a rendere autentica una cosa: rispondere a dei bisogni, avere un rapporto "corretto" col tempo. (Sono sicuro che, annidate nella Recherche, si trovano osservazioni molto più illuminanti delle mie in merito).
Dicono gli esteti che un quadro brutto è brutto anche se antico. Verissimo, ma anche incompleto. Il quadro brutto antico, mettendoci in relazione con un mondo che non c'è più (e che si è evoluto nel nostro, quindi che -al contrario- c'è ancora), è comunque un documento che colpisce la nostra sensibilità più di un quadro brutto a noi contemporaneo (che possiamo ignorare senza problemi, anzi, guadagnandoci risorse mentali preziose).
La pittura pompeiana era probabilmente minore rispetto ai suoi modelli greci (perduti), ma è per noi preziosissima.

Ci torneremo su.
Ciao e grazie,
Maz

Silvia ha detto...

Argomento interessante, anche se non mi è immediato seguirti per cui sopporta le banalità che seguiranno. Nel rispetto assoluto del giudizio di Barbara, mi viene da dire però che è un suo personale giudizio che può divergere dal mio dal tuo o dal Franti:)per esempio. Quindi, considerato che il gioco della ruzzola ha origini etrusche e lo si gioca ancora oggi in buona parte del centro Italia, significa che ha coinvolto molti individui nel corso del tempo e lo fa ancora oggi poichè si disputano i tornei.
Comprendo però che la maggioranza di coloro che avranno il gusto simile a quello di Barbara determineranno nel tempo la vita o la morte della ruzzola.
Il brutto quadro antico risulta più affascinante comunque di un brutto quadro contemporaneo perchè è una finestra "concreta" sul passato di cui si è studiato, appreso, sentito parlare e quindi a mio avviso, motivo di suggestione.
Se penso a certe splendide espressioni di tradizioni per esempio, penso ai Mammuthones, simbolo della scomparsa della civiltà nuragica o ai Pupi siciliani che attingono alla storia medievale. Che non ne so purtroppo come vorrei, ma mi affascinano molto. Eppure, sia i Mammuthones per un verso, che i Pupi per un altro, rischiano di essere dimenticati se non svolgeranno il compito di divertire o interessare, per cui comprendo ciò che mi hai voluto dire, almeno credo. Tuttavia, mi dispiace constatare che si corra il rischio di perdere la reale "portata" storica e culturale come tradizione vorrebbe per uniformarsi a moduli espressivi più riconoscibili, quindi fruibili, col rischio che alcune cose vadano perse per sempre e con loro l'autenticità stessa.
Ma poi mi dico che le modalità espressive cambiano giustamente con l'evolversi delle cose e il mutamento della storia, per cui se possiamo fare tranquillamente a meno dei giochi da Colosseo, chiediamoci però cosa è diventato l'antico gioco della palla e cosa ne è stato fatto della sua auntenticità.
Sono riuscita a fare un bel po' di confusione vero?
E'la mia specialità, sopportatemi:)

mazapegul ha detto...

Al contrario, Silvia: hai espresso in maniera assai cartesiana quello che pensi, e che penso anche io (ma che, quando scrivo di getto -ma anche quando ci penso troppo sopra-, mi viene criptico, pure a mestesso). Sono daccordo sulla ruzzola: a me quei tornei, che vedevo da bambino sulle rive del Panaro, appassionano piu' del calcio. Pero' ha anche ragione Barbara, implicando che una tradizione perde di vitalita' se non viene recepita come cosa vitale. Come facciamo, allora?
Io sono convinto che la ruzzola durera' finche' ci saranno persone che la costruiranno, ci si alleneranno, organizzeranno tornei. Ci saranno allora sempre quelli che porteranno i bambini a vedere la gara della ruzzola ("quella che mi divertiva tanto da piccolo"). Sta, credo, alle istituzioni locali (le parrocchie, i comuni) sostenere la tradizione: concedendo i campi, versando un modesto contributo, aggiungendo una gara di ruzzola alla sagra paesana. (Senza, per carita', travestire i giocatori da etruschi, o senza -ho assistito anche a questo- dare al pubblico che assiste all'esibizione notizie storiche dettagliate: per questo ci sono le conventicole private, nel blog o di fronte a un piatto di tigelle).
Ciao,
Maz
PS I pupari muoiono anche di questa disattenzione delle istituzioni: lo spettacolo e' bello, ma e' diventato costoso, e andrebbe sostenuto.

Silvia ha detto...

Esatto Maz, è la spettacolarizzazione forzata e un po' ruffiana che mi spaventa. Invece un sano recupero delle origini, di ciò che era un tempo, perchè possa essere goduto anche oggi, nel divertimento e nel rispetto di ciò che era veramente, credo che sia una cosa intelligente oltre che salutare. Ci sono comuni che lavorano bene in tal senso e investono mezzi e fondi perchè la tradizione venga mantenuta in vita.
Il pero merendino che ho citato nell'ultimo post, è un bun esempio di recupero a mio avviso, che non ha nulla a che vedere con giostre, cavalieri, armi e amori, ma che sa di terra, di campi, di sudore e di nomi oltre che di sapori, compagni di vita dei nostri avi.
Lo ritengo affascinante. Il recupero della tradizione passa anche attraverso il recupero di ciò che è andato distrutto o non è risultato funzionale ad un certo mercato, nei giorni nostri. E il discorso diventa immenso.
Ho un pupo in casa, molto bello, che acquistai oltre 30 anni fa appena al di là dello stretto. Purtroppo è un'arte in declino come hai giustamente detto e questo mi dispiace molto. Nei parchi, quando ci sono gli spettacoli di burattini, osservo i bambini che sono sempre a bocca aperta, come me:) Possibile che non si riesca a comprendere l'importanza di mantenere vive queste tradizioni artistiche e culturali così ricche?
Sono contenta quando riesco ad esprimermi con chiarezza ed essere capita:)

Solimano ha detto...

Sono interessato soprattutto a due argomenti.

Il primo è la traduzione e mi interessa talmente che ci scriverò un post o due (che non anticipo).

Il secondo è la vitalità nei secoli dei grandi santuari. Due esempi: San Nicola da Tolentino e Santa Maria dei Miracoli (a Saronno). A Tolentino, cominciarono a costruire in Santuario cent'anni prima che Roma facesse santo Nicola da Tolentino.
A Saronno, per successive aggiunte, la costruzione durò circa centocinquant'anni. Perché avevano il fiato così lungo? Perché credevano? Anche, ma non solo. Perché i santuari, con il continuo afflusso dei pellegrini, entrarono in sinergia con le fiere, che si svolgevano continuamente attorno al santuario perché c'erano tanti possibili clienti. Altro che cacciare i mercanti dal tempio! Erano i primi ad essere interessanti al fatto che il santuario fosse sempre più famoso e più bello.

In modo del tutto diverso, ciò è possibile anche oggi: a Saronno hanno costituito un'associazione di volontari che non produce solo depliants. Gestisce i documenti storici, i libri, il sito, le immagini di ogni tipo. Ciò è possibile in luoghi non piccolissimi (Saronno e Tolentino hanno decine di migliaia di abitanti)e gran parte delle responsabilità vanno lasciate localmente, non accentrate in sovrintendenze burocratiche. Non sono sogni ad occhi aperti, sono grandi opportunità possibili in decine e decine di luoghi in Italia. Ma senza un radicato e compatto nucleo locale non ci si riesce.
A quel punto, la corrispondenza dell'antico con l'oggi, del localismo col respiro lungo, dell'arte con le opportunità è possibile. Ma soprattutto la tradizione è viva, non imbellettata e tradita in eventi effimeri. Succederà, sta già succedendo, sono fiducioso (se gli assessori alla cultura non si mettono di mezzo...).

grazie Màz e saludos
Solimano

sabrinamanca ha detto...

Credo che l'informazione giochi anch'essa un ruolo fondamentale nel preservare "intatto" l'autentico.
Nel caso ad esempio di una festa tradizionale (ho in mente ad esempio i Candelieri a Sassari) per me è stato importante conoscerne l'origine e il corso sino ad oggi non essendo sassarese né figlia di sassaresi. Per molti turisti che diversamente dai sassaresi vengono una volta nella vita ciò che conta è l'intrattenimento, per me che vado oramai ogni anno, è importante connettere, mettere insieme il passato e il presente e vedere il contesto in continuo movimento nel quale questa festa si inserisce puntuale ogni anno.
Un saluto

annarita ha detto...

In questo contesto si inseriscono anche le sagre paesane. Oramai non c'è paese, persino il più piccolo, che non vanti almeno una sagra. In genere le sagre nascevano per diffondere un prodotto tipico locale, ora, per la maggior parte, se le inventano senza neanche tanto dispiego di fantasia, con prodotti che sono all'opposto: o assolutamente e banalmente mangiabili in ogni angolo d'Italia (la sagra delle tagliatelle, degli gnocchi, della trippa, dei fagioli e via discorrendo) o addirittura d'importazione quando tutti sanno che la produzione locale non esiste o, seppure c'è, non basterebbe davvero a imbandire una sagra. In ogni caso i turisti non mancano, è pur sempre una gita fuori città per mangiare in un posto diverso, tutto lì.
Salutissimi, Annarita.