domenica 21 giugno 2009

E a me chi ci penserà?

Giulia

La fine dell’anno scolastico è sempre un momento di grandi tensioni per i ragazzi, ma anche per gli insegnanti. Soprattutto la fine di un ciclo, come la fine di ogni cosa, è un momento di grande emozione là dove c’è stato un rapporto significativo tra ragazzi e ragazzi e tra ragazzi e insegnanti.
E’ molto sbagliato vedere la scuola solo un luogo dove si imparano “nozioni”, dove si punisce e si premia dimenticato il rapporto “educativo”, emotivo, affettivo che inevitabilmente, anche quando lo si nega, si instaura.
Per chi ha problemi, per chi ha attraversato e attraversa momenti difficili, la scuola, l’insegnante è molto importante nel bene e nel male.
Alla fine della terza media , una volta, ho visto molto triste e serio un allievo con cui per tre anni ho lottato per aiutarlo a trovare un equilibrio, perché imparasse a comportarsi, perché non fosse più aggressivo e non rispondesse più male ai miei colleghi che certo non facevano nulla per comprendere il suo disagio, che a volte mi ha detto più o meno tra le righe “si faccia gli affari suoi”.
Quel giorno l’ho preso da parte è gli ho chiesto che cosa avesse. Lui ha abbassato la testa per nascondermi le sue lacrime e mi ha detto “Adesso chi penserà a me?”. L’ho abbracciato e la mia spalla ne è uscita tutta bagnata dalle sue lacrime di bimbo che si sentiva solo, abbandonato, senza risorse, proprio lui che faceva sempre il duro: sua mamma lavorava tutto il giorno per poter tirare avanti, suo padre l'aveva lasciato da piccolo.
Già chi avrebbe pensato a lui? Mi sono chiesta e me lo chiedo tanto più ora che "una ministra", mentre l’immoralità regna nel governo di cui fa parte, chiede solo più severità e più rigidità nei confronti di ragazzi che sì, hanno bisogno di “autorevolezza”, ma non certi di essere lasciati a se stessi. Il cinque in condotta, i voti come unica soluzione alla complessità di un mondo, la scuola, che oggi dovrebbe pessere preparata ad affrontare ragazzi sempre più disorientati. Il guaio è che questa "semplificazione" funziona e la gente crede davvero che questa sia una soluzione. Io credo nella semplicità, che è proprio il contrario della semplificazione.
La scuola ha bisogno di insegnanti che siano come dei direttori d'orchestra: devono sapere armonizzare fra di loro le diversità, far suonare ad ognuno il proprio strumento dal più semplice al più complicato. Devono essere giardinieri che coltivano ogni fiore nella sua specificità e diversità: ogni fiore ha il suo valore e la sua bellezza. Forse dovrebbero essere prima preparati, poi selezionati anche gli insegnanti. Come tutti i lavori non tutti sono in grado di farlo.

Lo dico io dopo trent'anni di insegnamento e che, come mamma, ho dovuto lottare perchè mio figlio non fosse considerato un peso per la società, un bambino che "rallentava" l'apprendimento degli altri, uno che poteva "spaventare gli altri bambini". Non è stato così grazie agli insegnanti splendidi che ha avuto e che mai smetterò di ringraziare e di avere nel mio cuore. Hanno contribuito a restituire alla vita un bambino a cui l'avevano tolta e che oggi, grazie a loro, conduce una vita serena.

Le immagini sono tratte dal film "Essere e avere" di Nicola Philibert.

14 commenti:

Dario ha detto...

E' molto più facile confondere la semplicità con la semplificazione, ridurre la complessità ad un bianco e nero piuttosto che sfruttarla per ricavarne nuovi colori... è molto più facile nascondere tutto sotto il tappeto in penombra invece di dare aria e pulizia alla casa :-(

Silvia ha detto...

Dopo pranzo mi farò una bella doccia e vestita bene di tutto punto andrò a votare.
Non ho cose importanti da fare oggi, o impegni particolari, anzi mi sono ritagliata questa giornata di riposo tutta per me, per fare ciò che mi piace e per andare a votare.
Perchè l'astensione la ritengo un affronto verso il mio prossimo, una mancanza di rispetto, un voler far perdere incidenza e peso ad uno degli strumenti di diritto più democratici a disposizione dei cittadini. E' più facile dire di astenersi, così si mettono in pace i vacanzieri e coloro che non vogliono ritagliarsi i cinque minuti del lunedì lavorativo già così scombussolante dopo un w.e. di vacanze: sindrome da rientro. Eppure sono diposbinili due monosillabi precisi SI e NO. Più democratico di così! Ma questo significa pensare, avere un'idea, aver cercato di capire cosa ci sta dietro, prendere una posizione. Signifca molte cose, a volte terribilmente complesse.
Meglio semplificare e dire alla gente: il No equivale a non andare, e questo non è vero. E' un messaggio deviante per le nuove generazioni che forse non hanno bene idea cosa siginifichi vivere in un paese democratico con libera espressione di voto per i cittadini al contrario di paesi in cui rischi di venire ammazzato nel momento in cui ti rechi alle urne.
Perchè mistificare, rivestendo l'astensioismo come un'espressione libera e democratica che è pure scritta sulla carta costituzionale, quando in realtà è usato come campagna elettorale? E' così difficile da capire?
E'così complicato andare a votare, comunque ed esprimere il proprio parere? O si vuole annientare il referendum? Perchè allora sì che sarei molto allarmata.

Questo fuori tema Emilia cara:) per dire che il tuo post così preciso, purtroppo calza in molti aspetti della nostra società malandrina e indebolita. Da molti anni si cerca di semplificare ogni cosa, e la sinistra non è più portatrice sana di cultura. Adesso vige una cultura di destra, Televisiva, Gelminiana e Maroniana, dove Semplificazione e richiamo all' "ordine" e alla "pulizia" sono i binari su cui viaggia, in cui stereotipi e numeri azzerano ogni possibilità di diverso e diversità altrimenti il treno "deraglierebbe".
Noi sappiamo bene che non è così, ci vogliono confondere le idee e scambiare il fine con i mezzi, ma sento tanti luoghi comuni intorno a me, che poi è facile confondere le idee. E forse da qualche parte c'è pure una destra illuminata con la quale si potrebbe dialogare, che non utilizza solo facili slogan per attirare l'elettorato deluso. Ma ora sta usando il pugno di ferro.
Forse non ho capito niente, ma di una cosa sono certa: nel momento in cui riterrò che il mio diritto di voto non varrà più nulla, avrò la percezione di essere morta.

Forse uno dei tanti errori che la sinistra ha commesso è stato quello di non saper valorizzare e far conoscere tutti i risultati positivi che ha ottenuto in tanti ambiti e nei governi locali, nelle piccole realtà. Nel lavoro prezioso di tanti individui capaci e mossi da un progetto comune. La scuola per esempio, come tu hai descritto e di cui hai fatto parte per tanti anni, in cui non è possibile ridurre tutto ad un numero, che in certi casi non può essere usato alla stregua della fila del banco del pesce fresco.

Sono contenta che tuo figlio ora sia un uomo autonomo e capace. So che madre sei e questo non mi stupisce:), ma sono certa che attorno a te hai avuto persone intelligenti e capaci che hanno saputo aiutarti in questo percorso particolarmente difficile. Io so che ci sono ancora queste persone in giro, e che non possono stare ferme ad ossevare lo scempio di tanti anni di lavoro, di idee, di concetti, di obiettivi. So che si ribelleranno a questa visione semplicistica delle cose. Prima o poi.

Non ho ancora iniziato Suite francese perchè ne devo terminare altri due. Ma conto di farlo presto:)
Un abbraccio.

Anonimo ha detto...

Ciao Dario, la semplificazione è molto insidiosa. Fa credere ai più di aver risolto i problemi, mentre invece li si seppelisce insieme a chi non rientra nello schemino che è quello che tu chiami "tappeto in penombra". Nel caso dei ragazzi a scuola può avere effetti davvero disastrosi.

cara Silvia, anche io sono andata a votare anche se confesso con pochissima convinzione nelle scelte. Ma questo abbiamo e con questo dobbiamo cimentarci.
La sinistra ha tanto sperimentato in molti anni una scuola diversa, solo che nessuno ha poi fatto la verifica che sempre si deve fare dopo la sperimentazione. La si è archiviata come nulla fosse sucesso. Non ha saputo ascoltare chi ha fatto davvero esperienze innovative e serie e così siamo a questo punto: un ritorno indietro, una non riforma. Peccato che la scuola a cui si vuole tornare non ha più nessun senso nella società così come è oggi, ma è comoda per gli insegnanti che non vogliono nè mettersi in gioco, nè pensare.

Grazie

Gioacchino ha detto...

La mia esperienza di studente nei vari gradi dell'educazione scolastica, nessuno escluso, e l'osservazione di vari casi a me vicini, mi hanno mostrato comportamenti discordanti: esclusi quegli insegnanti che considerano, al pari di certi genitori, l'educazione un peso, mi sono reso conto che molti sono gli insegnanti che in maniera ottima, esemplare, svolgono il proprio lavoro, limitandosi però a "rispettare le scadenze", cioè a considerare ogni ciclo di insegnamento (e di crescita) una serie di compartimenti stagni e quasi intercambiabili, senza rendersi conto, apparentemente, che il passaggio da un ciclo all'altro è uno dei momenti più traumatici per una persona, di qualunque età, soprattutto se in crescita. Essere i migliori in un dato segmento dell'educazione scolastica, o della vita, non ci mette al sicuro dalle insidie del cambiamento, pratiche e psicologiche. Alla fine dei miei studi, ho avuto la sensazione di essere stato trattato come un pacco postale, incartato e incellofanato con cura, ma privo di indirizzo di destinazione. Molti credono che la scelta della destinazione spetti allo studente stesso, o alla sua famiglia, ma non si rendono conto che spesso una cecità, colpevole o meno, avvolge entrambi, e solo chi trascorre con il ragazzo, o la ragazza, cinque ore al giorno per nove mesi l'anno, e si è incaricato di educarlo, può aiutarlo nelle difficili scelte che verranno. E, poi, certo, c'è anche la tristezza del distacco.

Gioacchino

giulia ha detto...

Caro Gioachino,
hai detto cose importanti. L'immagine del "pacco postale" rende molto l'idea. C'è un'idea dell'insegnamento che non tiene conto della relazione "educativa", quasi il rapporto tra ragazzo e insegnante non fosse rilevante, che vede tutto diviso a comportamenti stagni come se alla fine di un ciclo scolastico corrispondesse la fine di un processo di crescita. Non si tiene conto che la sfera affettiva e intellettiva sono fortemente intrecciate e una può influire sull'altra.
Io posso dire quanto invece a volte dialogare con i propri allievi, ascoltarli non con condiscendenza, ma con interesse vero, possa fare molto di più che la ripetizione di mille esercizi per recuperare una difficoltà.
E in questo non sono in gioco solo i ragazzi che hanno dei problemi di apprendimento, ma tutti.
Il passaggio da un ciclo ad un altro dovrebbe essere accompagnato. A volte alle medie, dove io ho insegnato, i ragazzi iniziano un percorso che poi viene bruscamente interrotto alle superiori.
Io ho sempre verificato se come insegnavo aveva a distanza buoni risultati o no. Posso dire che i ragazzi stessi mi hanno confermato che il metodo che adottavo funzionava, sicuramente sul piano della crescita "umana", ma anche in quella intellettiva.

grazie

Giulia

Solimano ha detto...

Giulia, ti ringrazio anzitutto di aver raccontato di te stessa e di tuo figlio.
Non è facile, sapersi spendere in questo modo. Ognuno di noi ha un suo personale confine fra il detto e il non detto, e, come abbiamo notato tutti, in Stanze all'aria l'approccio conversativo porta a dire cose che in un altro contesto, non basato su una empatia e una fiducia reciproca, non verrebbero dette, rifugiandosi in genericità comode sì, ma non coinvolgenti.
Sulla scuola, abbiamo già ragionato e lo faremo ancora in futuro: condivido quello che dici sulla semplicità che non va confusa con la semplificazione.
Dico tre cose:
1. L'insegnante che ha autorevolezza è generalmente il più attento alle situazioni difficili e quello che meglio sa gestirle. Non è un piacione, è una persona che sa dare le priorità giuste, che cambiano giorno per giorno, momento per momento.
2. Sulla base dell'esperienza familiare, dico che ci dovrebbe essere una grande autonomia della singola scuola, non l'assurda burocratizzazione della struttura, che praticamente tende a trasformare presidi ed insegnanti in impiegati d'ordine. Il preside, in una scuola veramente autonoma, può fare molto di più e di meglio rispetto alla situazione attuale, in cui diventa un passacarte burocratico.
3. Occorre (e si fa pochissmo) che l'ausilio dell'informatica sia molto più utilizzato. Credo in una scuola in cui, anche in funzione dei ritmi di apprendimento, i ragazzi possano utilizzare corsi autodidattici guidati in molte materie. Il che non riduce l'importanza dell'insegnante, lo conduce a svolgere attività più qualitative che quntitative.

Sul volontariato e sul come venire incontro meglio a situazioni difficili ne parleremo un'altra volta. Certo sarebbe tutto più facile se la personalità morale degli insegnanti non fosse spregiata come succede oggi, proprio per la semplificazione tipo il cinque in condotta o altre menate del genere, che non aiutano assolutamente a migliorare la situazione. Ma quando i messaggi sbagliati piovono dall'alto è dura opporsi.

grazie Giulia e saluti
Solimano

Barbara Cerquetti ha detto...

Io devo confessarvi che di tutta questa riforma non c'ho capito niente.

Sui giornali leggo delle cose buttate là, che messe così non mi fanno nè caldo nè freddo, ma tutti quanti quelli che conosco, nella vita reale e anche qui in rete, gridano al disastro.

Il cinque in condotta?
Boh!
Ai miei tempi c'erano le materie a settembre, e chi diceva che erano una rovina, chi diceva che erano un bene.
Alla fine erano solo un mezzo, e il giudizio andava fatto caso caso a seconda del contesto.

Ho letto che vogliono fare un liceo musicale oltre al classico e allo scientifico.
Detta così non sembra una cosa brutta. Qui da me, se ti vuoi buttare sulla musica, o fai il conservatorio che però sta lontano, oppure vai alla scuola privata che ti spella il portafoglio. E poi c'è da aggiungere che nessun genitore si accontenta di farti fare il conservatorio, che comunque non viene ritnuta una vera scuola, ma un di più, una specie di hobby (l'ignoranza dilaga).
Perciò il nostro ragazzo appassionato di musica deve iscriversi comunque ad una scuola superiore, e poi in più fare il conservatorio, ma pochi ci riescono perchè il volume degli impegni è eccessivo.

E poi, da profana, devo aggiungere che ogni governo che è passato ha messo mano alla scuola, che ogni volta si grida allo scandalo ma che tuttora nessuno è stato capace di evitare che si studi, nel corso del proprio percorso scolastico, per quattro volte gli antichi romani e neanche una volta la guerra del vietnam, o la formazione dello stato dell'iran o lo stragismo italiano. Come si pretende che poi i ragazzi si interessino dell'attualità?
Ma sì, continuiamo a ripassare i Sepolcri, che è meglio...

Mia figlia tra poco inizierà la materna, e poi andrà alle elementari. Io non credo nell'istituzione della scuola così come è organizzata adesso, nè in questa riforma più che alle precedenti. Spero solo che abbia la fortuna di incontrare brave persone di buon senso, che facciano il loro mestiere con amore. Insomma, spero nella botta di fortuna.

Grazie Giulia per la tua esperienza, magari Sofietta incontrasse un'insegnante così...

Amfortas ha detto...

La scuola secondo me dovrebbe insegnare soprattutto che nella vita ci vuole disciplina, che oggi sembra una parolaccia.
Purtroppo non è così facile come sembra, una volta, quando le figure del Maestro o del Professore erano quasi sacre, era più agevole.
Oggi dobbiamo fare i conti con una società che ha, giustamente, ridiscusso certi valori. Il compito degli insegnanti è terribile, perché siamo ancora in un'epoca di transizione, in cui sono visti più come cani da guardia che come educatori.
Inoltre anche gli insegnanti sono disorientati, al pari degli alunni: non hanno certezze per il futuro, spesso sono precari e quasi tutto è lasciato alla buona volontà che non solo non è mai riconosciuta ma addirittura osteggiata da chi non ha voglia di fare nulla.
Non ti invidio, Giulia.
Ciao.

Anonimo ha detto...

Caro Solimano, hai perfettamente ragione nel dire che chi sa gestire le situazioni più difficili, deve avere autorevolezza. Ma oggi deve essere così anche per quanto riguarda i ragazzi che si definiscono "normali" o che riescono bene a scuola. Se incontrano un insegnante che non sa farsi rispettare tutte le classi diventano ingestibili.
Giusto ciò che dici sull'autonomia che condivido anche se è stata in parte introdotta da Berlinguer e non ha avuto effetti sempre positivi. Oggi per accapparrarsi i "clienti" la scuola sembra diventata un mercato con la conseguenza di inserire mille attività senza un progetto. Ma qui il discorso è lungo.
Certamente il computer utilizzato bene potrebbe facilitare il lavoro, ma da una parte gli insegnanti spesso fanno resistenza, dall'altra si spende troppo poco per laboratori seri. A volte c'è un computer ogni cinque bambini e un'ora alla settimana in cui poter utilizzarli oltre a computer e programmi obsoleti.

Sul volontariato c'è molto da dire e non è sempre oro quello che luccica. Se uno fa il "volontario", solo per questa scelta fa una cosa buona. Non è sempre così.

Barbara, hai colto un punto fondamentale. Io non sono entrata nel merito delle riforme, ma c'è qualcosa di più importante a monte: la preparazione degli insegnanti. Ogni riforma, hai ragione, non è mai stata accettata. Riformare la scuola incontra sempre molte resistenze, ma questa della Gelmini non è certo una riforma. I voti c'erano già, una volta non c'era il cinque, ma il sette in condotta.
Gli insgenanti potevano dare note, voti bassi e bocciare anche prima con quello che c'era.
Il problema che ho sollevato è quello di tanti ragazzi che hanno grandi difficoltà, problemi in famiglia, sono soli il più del tempo a casa perchè i genitori lavorano e quindi siamo in una situazione tanto diversa da quella del passato. Bisogna guardarli in faccia i problemi. Che cosa si fa dei ragazzi che hanno difficoltà?
Hai detto bene rimandare a settembre è solo un mezzo che eventualmente, se funziona, puoi utilizzare. I problemi sono altri.
E' assurdo che debbano ripetere sempre gli stessi argomenti...
Ma il problema che io ho posto è quello del rapporto tra istruzione ed educazione.
Se in qualche modo bisogna essere solo dei "travastori" di sapere o anche degli educatori. Ma ne riparleremo se vi va.
E come vedi concludendo centri il problema fondamentale che è quello della "persona-insegnante". E' un lavoro difficile che bisogna amare o neanche cominciare a farlo perchè non basta la competenza ci deve essere la voglia di mettersi in gioco. Abbiamo nelle nostre mani dei "bambini", dei "ragazzi" che crescono insieme a noi e a volte stanno più con noi che con i loro genitori.

Amfortas, sono d'accordo che ci deve essere disciplina: il problema è come la si ottiene. Io ho avuto sempre classi molto disciplinate che potevo anche lasciare sole sapendo che non sarebbe successo nulla.Eppure, non ci crederai, non ho mai avuto bisogno di usare la "nota". E non ho avuto classi facili, senza problemi, tutt'altro.
Invidiami però, perchè l'insegnamento è una lavoro splendido. Lo so che per la gran parte degli insegnanti non è così, ma per altri lo è. L'incontro con i ragazzi ti arricchisce, ti matura, ti rende più sensibile e molto spesso ti gratifica anche. E se gli adulti sono in crisi cosa si può chiedre ai giovani? Altri adulti in altri tempi non stavano meglio di noi, bisogna smettere questo "vittimismo" non propositivo. Non si possono far pagare le nostre frustrazioni a chi sta crescendo: siamo responsabili dei più piccoli.
In guerra non erano precari? E forse si poteva smettere di essere adulti che accompagnavano i bambini nella lor crescita?

Grazie a tutti e un abbraccio

Anonimo ha detto...

cara Giulia, ti sento molto sorella.
Solo questo.

zena

Silvia ha detto...

Mi dispiace Giulia pensare che non ci siano insegnanti incapaci di mettersi in gioco, ancora. Io mi auguro che ce ne siano ancora, però è vero che occorre fare delle verifiche sul grande lavoro di sperimentazione svolto negli anni scorsi. Andiamo molto indietro se penso alla mia scuola. Ne facemmo tanta di sperimentazione assieme agli insegnanti, e molto interessante. Però è vero, non so poi, cosa ne fecero di quelle esperienze le classi successive.
Temo poco e niente.

Anonimo ha detto...

Zena cara, hai detto una cosa splendida. Ci si sente sorelle, quando si condivide un certo modo di vedere la scuola, ma prima di tutto il nostro rapporto con i più giovani che siano piccolissimi, piccoli, grandicelli, insomma nel loro percorso di crescita. Ho letto che non riesci a parlare di scuola. Di scuola neanche io in questo momento, ma di ragazzi sì. Vorrei dargli voce, perchè pochi pochissimi ascoltano cosa soffrono, vicono dentro e si fermano a guardare la superficie.

Cara Silvia, cero che ci sono insegnanti che sanno ancora mettersi in gioco. Ma ti assicuro molo poche soprattutto salendo nei gradi della scuola. Racolgo tu lo sai sempre testimonianze da questo mondo e in questo momento sono sconfortanti.

Baci

zena ha detto...

E' così, cara Giulia: dei ragazzi anch'io non mi stancherò mai di parlare. In questi giorni arrivano ad onde, a casa mia: 'vecchi allievi' ora alle prese con la maturità, vengono per un consiglio, una chiacchierata, per la ricerca di un libro o di uno spunto per la tesina...un po' per paura e un po' per nostalgia, ricordando una mia antica garanzia ('se si rompe qualche pezzo, siete sempre 'miei': tornate quando volete'). Diciamo che in realtà non tornano: mica se ne sono mai andati :))

un abbraccio

zena

Anonimo ha detto...

Carissima Zena, reincontrando miei vecchi allievi, ormai padri e madri, mi sono accorta davvero che non mi hanno mai lasciato, nè io avevo lasciato loro.
Le mie piccole e povere parole hanno vissuto, si sono trasformate, sono diventate semi... E' questo è davvero una cosa che rende il lavoro dell'insegnante uno dei più belli che ci siano a dispetto di chi fa "la guerra" ai ragazzi.

Un abbraccio, cara sorella

Giulia