lunedì 2 marzo 2009

L'amour est un oiseau rebelle (4)

Solimano

La vignetta qui sopra è tratta dal libro "Change", sempre del gruppo di Palo Alto, pubblicato in Italia da Astrolabio - Ubaldini nel 1974.
La didascalia della vignetta è questa: "Due marinai tentano freneticamente di rendere stabile una barca (stabile)". Come prefazione al libro c'è una paginetta di Milton H. Erickson che dice :

"La psicoterapia non si pone come obiettivo primario di far luce sul passato, che è immutabile, ma è mossa piuttosto dall'insoddisfazione per lo stato in cui attualmente versano le cose e dal desiderio di offrire un futuro migliore. Quale debba essere la portata e la direzione del cambiamento non può saperlo né il paziente né il terapeuta."
E aggiunge:
"... sono correnti che necessitano di una spinta inattesa, illogica, repentina, se si vuol farle sfociare in un risultato concreto."
Infine :
"... capire meglio come le persone vengono irretite nei problemi e offrire nuovi strumenti per facilitare la soluzione di tali impasse umane".

Ne "La pragmatica della comunicazione umana", ampio spazio è dedicato alla comunicazione paradossale, distinguendo tre tipi di paradossi
1. Paradossi logico-matematici (antinomie).
2. Definizioni paradossali (antinomie semantiche).
3. Paradossi pragmatici (ingiunzioni paradossali e predizioni paradossali).
L'immagine a fianco è una divertente ingiunzione paradossale: "You sure write good", dice l'editore allo scrittore speranzoso.
Sono le ingiunzioni paradossali che ci interessano, ecco alcuni esempi:

"Dovresti amarmi"
"Voglio che tu mi domini"
"Dovresti divertirti a giocare con i bambini, come tutti gli altri padri"
"Non essere così ubbidiente"
"Sai che sei libero di andare, caro; non preoccuparti se comincio a piangere"

Chi riceve queste ingiunzioni si trova in una posizione insostenibile, perché gli viene prescritto ciò che dovrebbe essere spontaneo. Per dirla con più esattezza con le parole del libro "accondiscendere dovrebbe essere spontaneo entro uno schema di condiscendenza e non di spontaneità". Il messaggio asserisce qualcosa, asserisce qualcosa sulla propria asserzione e... queste due asserzioni si escludono a vicenda.
Fra due persone coinvolte in una relazione che abbia un alto valore di sopravvivenza psicologica per una o per tutte e due ciò crea una situazione di doppio legame, che gli autori estendono a situazioni come la fedeltà a una credenza religiosa, a una causa, a una ideologia. Con spettacolari esempi tratti da Koestler, Huxley, Proust, Russel, Lorenz, Wittgenstein (col suo di ciò di cui non si può parlare si deve tacere si chiude il libro).
Che fare? Non si sta bene, ad oscillare fra due alternative. La cosa fondamentale, quando la comunicazione è disturbata, è di saper metacomunicare, cioè comunicare sulla comunicazione. Un salto di livello che permette di uscire dalla gabbia. Come in rete, con certe discussioni che non finiscono più. Quello che dice: "Il punto è che io non piaccio a te e tu non piaci a me", passa dal contenuto alla relazione. E' l'unico modo che funziona: è inutile continuare ad accapigliarsi sugli argomenti (contenuto) quando è la relazione ad essere disturbata.

Nei rapporti di coppia esistono due possibilità: interazione simmetrica ed interazione complementare. Nella simmetrica si è au pair (anche quando si litiga), nella complementare uno sta sopra e l'altro sotto. Ecco un'altra vignetta:

Lei dice a lui: "Sono stata proprio pazza a sposarti. Ero convinta che sarei riuscita a farti diventare un vero uomo."
Attenzione però. Non è che ci sia il prepotente e la vittima, sono due complici che si sono cercati e trovati. Rapporti del genere si cronicizzano, come nell'esempio che ha fatto Barbara e nell'esempio che ho fatto io. Più si agitano più continuano il loro gioco oscillatorio, un gioco senza fine. Questi sono cambiamenti di tipo 1, alla plus change plus c'est la même chose. Serve un cambiamento di tipo 2, un salto di livello, come Fabrizio che se ne va per i fatti suoi quando sono già partite le partecipazioni di nozze e le bomboniere sono pronte. Che facevano i bambini quando giocavano in gruppo? Uno diceva mortus, a quel punto non giocavano ma parlavano del gioco, che aveva dei problemi. La metacomunicazione sarebbe naturale, ma in certi rapporti di coppia (o di fede, causa, ideologia) si continua a giocare come se niente fosse.
In chiusura, metto una immagine di Chiappori da "Commedie e drammi nel matrimonio" di Guglielmo Gullotta. La prefazione l'ha scritta Paul Watzlawick, che è l'autore delle "Istruzioni per rendersi infelici". Sono due libri brevi e divertentissimi (in cui ci si riconosce spesso, ahimè...) . Entrambi editi da Feltrinelli. Le traduzioni dei due libri capitali, la Pragmatica e Change, le fece Massimo Ferretti.


16 commenti:

Anonimo ha detto...

Tra le persone spesso si dovrebbe ricorrere al principio di utilità, per evitare il notissimo montare di accuse e controaccuse sterili, nel quale spesso ci si dimentica del motivo del contendere.
Non è facile, e da un certo punto di vista è bene che sia così, perché spesso si viene tacciati di cinismo o peggio.
Certo, si parla sempre in teoria: regolare razionalmente rapporti emozionali è un ossimoro clamoroso.
Lettura stimolante, Solimano.

Habanera ha detto...

Ecco alcune "Istruzioni per rendersi infelici".

1) Essere fedeli a se stessi

La differenza tra esperti e dilettanti: questi ultimi finiscono per alzare le spalle ed arrangiarsi. Gli altri rimangono fedeli ai loro principi e non sono disposti a compromessi, posti di fronte alla scelta tra l’essere e il dover essere, decidono come deve essere il mondo e rifiutano come esso è. Rifiutano ogni cosa perche non rifiutare significherebbe non essere fedeli a se stessi.

2) Ricordare il passato come l’età dell’oro

Ricercano disperatamente (relazioni, eventi) già vissuti, nella logica che solo ricominciando da capo si potrà ritrovare quella felicità degli inizi. Esaltano il passato e pensano meno al presente, non riuscendo così a cogliere i momenti di non-infelicità del presente.

3) Considerarsi vittime

Una volta compiuto il primo errore tutto diventa ineluttabile, e se ci si sente colpevoli, lo si sarebbe dovuto sapere allora perché adesso è troppo tardi. Il mondo, il destino, Dio, i cromosomi, i genitori, … tutti sono colpevoli di ciò che noi ormai siamo e non possiamo più modificare. “Ora è troppo tardi, ormai non lo voglio più…”. Allo stesso modo anche ciò che abbiamo che ci rende felici deriva unicamente dal passato a tutto vantaggio dell’infelicità.

4) Oggi così e domani ancora così

L’ancoraggio alle soluzioni che abbiamo applicato in passato e che si sono rivelate efficaci, senza pensare che le situazioni cambiano e che non è possibile applicare sempre le stesse soluzioni.

5) Cercare disperatamente di realizzare una meta elevata

Lo scopo non ancora raggiunto è più desiderabile, romantico e luminoso di quanto possa esserlo quello a cui si è già arrivati.

6) Spingere le persone con cui siamo in relazione, a scegliere tra due uniche alternative possibili

Ti piace questo? Si o no?
Mi ami? Si o no?

7) Imporre ad una persona a voi cara di essere spontaneo, e quando non gli riesce, rimproveratelo di non riuscirvi nonostante le innumerevoli cose che fate per lui.

A questo punto sarete riusciti a creargli un certo grado di senso di colpa, e ad indurlo a comportamenti che potrete nuovamente giustificare come frutto del suo non-tentare di essere migliore.

8) Credere che la vita sia un gioco a somma zero

Ossia per chiunque “vinca” deve esistere qualcuno che “perda”.

Paul Watzlawick

Solimano ha detto...

Amfortas, concordo sul principio di utilità, al limite anche sulla limitazione del danno.
Assistere (o partecipare...) a certi litigi matrimoniali è come andare al cinema a vedere un film che hai già visto per cinquecento volte e che ti ha stufato subito, in prima visione. Litigi fatti in fotocopia, secondo me hanno imparato le scene madri a memoria, compresa la rottura dei piatti e lo sbattimento delle porte.
L'accusa di cinismo la fanno, sì che la fanno: è una accusa-ricatto. Ma i cinici peggiori sono i sentimentali (e le sentimentali eh... eh...).
Invece l'ossimoro a me sta benissimo, essere lucidi e appassionati in contemporanea è il massimo della vita. E metto giù un carico, come a briscola: come sei tu quando ascolti dal vivo la musica? Lucido e appassionato, in sinergia perfetta, eh sì. E siccome il Bardo disse che la musica è il nutrimento dell'amore, con facili operazioni si giunge ad un ossimoro che vola, come volano i calabroni e i maggiolini. Non si sa come, ma volano.

grazie Amfortas e saludos
Solimano

Solimano ha detto...

Habanera, molto fino, il vechio ragazzo Watzlawick, scomparso pochi anni fa a 85 anni. Uscirono due ottimi articoli su la Repubblica e sull'Unità, quello della Repubblica lo scrisse Umberto Galimberti.
Quello di decidere come deve essere il mondo è diffusissimo, io lo vedo nella declinazione: "Non sono io ad essere triste, è il mondo che è triste". E bisogna starci attenti perché sono degli untori, cercano di contagiare, così il problema non è più loro.
Li ho visti, quelli che mitizzano il passato, hanno provato a rimettersi a fare a cinquant'anni quello che facevano a trenta (che non è assolutamente detto che uno a trent'anni sia più felice (o meno infelice che uno di cinquant'anni).
Sui complessi di colpa, sono più specializzate le donne, ma qualche uomo c'è e sconfina nel sadico.
E la storia del gioco a somma zero, mentre il bello (e il rischio) della vita sono i giochi a somma positiva (e quelli a somma negativa...).
Però hanno tutti una cosa in comune: quando si viene al dunque, appartengono tutti al Partito dell'Amore (maiuscolo e in grassetto, mi raccomando).
Ma che cos'è quest'amore? Mbah.. Toccherà isciversi ad un corso.

saludos y besos
Solimano

Anonimo ha detto...

Sono molto d'accordo sulla capacità di "metacomunicare", di guardare a cosa sta accadendo alla relazione piuttosto che scannarsi sui contenuti, ma pochi lo sanno o lo vogliono fare con onestà, guardando anche come ho contribuito "io" a creare una situazione.
Il fatto è che, come dici, spesso si entra in un gioco che entrambi continuano e vogliono giocare e la catena si inanella sempre di più senza che nessuno faccia nulla per spezzarla.
Un caro saluto,
Giulia

Anonimo ha detto...

Mi ricordo di una amica che mi ha fatto odiare il suo uomo,per anni, per tutto quello che le combinava (corna a non finire) e io vedendo fiumi li lacrime, ignara dei meccanismi di coppia, a crederle e a metterci la foga della ribellione a cui lei non pensava minimamente. Infatti dopo l'ennesimo corno, dichiarato e plateale si sono sposati con estrema felicità. Ora credo che vivano felici e contenti e non ne so più nulla.


Ho combattuto sui punti 6 e 7.
Dovrei fare un corso accellerato:)

Molto istruttivo.
Buona giornata:)

Barbara Cerquetti ha detto...

Mah, è da un paio di giorni che rifletto su questa cosa che hai postato, Solimano, ma qualche perplessità ce l'ho...

Nel senso che per quanto sia super utile il "metalinguaggio" credo che alla fine possa diventare una trappola anche quello.
Mi ricordo nottate e nottate passate a parlare, parlare, parlare, di "cosa ci sta succedendo", "perchè hai agito così", "il motivo che mi spinge a fare cosà", ma alla fine il rapporto stava sempre lì fermo, non evolveva mai, come se quegli infiniti pipponi mentali facessero parte della sceneggiatura, non più dei piatti rotti o delle sceneggiate che citi.

Non ho grandi risposte, non so cosa possa essere ciò che fa funzionare una storia, forse un insieme di cose, forse le esperienze concrete vissute fianco a fianco, forse il desiderio di cambiare se stessi piuttosto che il rapporto, forse un po' di sfacciata fortuna, chi lo sa?

Però posso dire in tutta sincerità che quell'elenco di habanera è una bella coltellata: quel tizio ha centrato tutte le cose della mia personalità su cui sto lavorando da anni! Che tristezza: sono uno stereotipo.

Ermione ha detto...

Mi piace quando i commenti diventano una vera discuzzione, come avviene spesso qui. Non ho molto da aggiungere a quanto avete detto tutti, se non raccomandare la lettura di Istruzioni per rendersi infelici a chi non l'avesse fatto, Barbara in primis, che chiama Watzlawick "quel tizio". Ganzo.
Io lo lessi nel pieno di una crisi depressiva anni e anni fa; da qualche parte deve esserci ancora, in una delle mie biblioteche, e penso che rileggerlo con animo più leggero sarà divertente.

Habanera ha detto...

Ehm... io credo di dover lavorare ancora parecchio sui punti sei e sette.
Il punto tre ogni tanto vorrebbe fare capolino ma ho imparato a tenerlo a bada con massicce dosi di autoironia.
In tutti gli altri punti invece non mi riconosco.
Almeno, per quel poco che conosco me stessa.
Poi, chissà...
H.

Barbara Cerquetti ha detto...

Per Habanera e Arfasatto: ieri sono andata in libreria e l'ho preso. Lo leggerò quanto prima.
Come diceva sempre una mia amica atea quando andava a messa : "non si sa mai da dove può venire una parola buona" eheheh! ;-)

Anonimo ha detto...

Questo post mi ha completamente bloccato perché ci sarebbe così tanto da dire e non so da dove cominciare.
La mia esperienza ha fatto sì che mi ritrovassi davanti a un terapeuta e costui mi insegnasse (e ancora lo fa, attraverso le chiavi di lettura e le diverse angolature che ha offerto alla mia vista prima miope) a leggere "fra le righe".

Non posso farci nulla, credo che, nel momento in cui non si è soddisfatti di una certa parte di noi o sentiamo che l'infelicità "senza spiegazioni" (perché quella spiegata è assolutamente comprensibile e lecita) sia meglio ricorrere a qualcuno che abbia i mezzi che noi non abbiamo.
Perché dico questo? Perché credevo di vedere lontano e chiaro prima di incontrarne uno, avevo letto tanto e sapevo riconoscere molto ma solo negli altri. Quando si trattava di me allora non vedevo un gran che.
Credo che i libri e le discussioni e gli amici che ci facciano riflettere servano tanto ma c'è una soglia che senza un professionista non si arriva a varcare.
So anche, ne ho l'assoluta certezza, che solo la disperazione porti le persone verso un terapeuta. Non la curiosità, non la temerarietà, la disperazione.
Perché quando si giunge a pensare, ho bisogno di qualcuno "capace" di aiutarmi, e ci si presenta davanti a uno sconosciuto che ci può ferire a morte, allora sì, si è davvero disperati.
Perché dico ferire a morte? Perché arrivare a offrirsi nudi davanti a un estraneo che potrebbe vedere meglio il nostro groviglio oppure non capirci nulla, e scoprire che invece non ha capito un benemerito beh, questo vale una buona coltellata in pieno ventre.

Ho avuto diverse esperienze.
Le prime due non le racconto perché non voglio dilungarmi, magari un'altra volta.
La terza fu la buona.
Eppure, eppure me ne andai dal suo studio due volte, pensando, non ha capito nulla, mi fa domande che nulla hanno a che fare con me e alla terza volta, quella in cui si sarebbe dovuto decidere ci continuare ha inferto un durissimo colpo al mio orgoglio.
Aveva capito già quasi tutto.
Il fatto è anche che parlare di certe cose, quelle che più fanno male è davvero pesante da gestire.

Fatta questa breve premessa se si vuole leggere la propria storia sentimentale con date, eventi, battaglie vinte e perse, eserciti affrontati si deve andare molto più lontano o tornare molto indietro, fate vobis.
Cercare di ricostruire l'infanzia, il rapporto con i genitori, rilevare ciò che ci ha fatto soffrire, ciò che pensavamo ciascuno dei due si attendesse da noi, il ruolo che abbiamo svolto.
Ad esempio, siamo sicuri di essere stati dei figli e non dei genitori? Siamo sicuri di non esser stati assoldati dall'uno contro l'altro e di aver quindi assorbito le idee di colui che ci raccontava l'altro come un mostro?
Siamo sicuri di non esser vissuti nell'ombra di un fratello o sorella?
Tutte queste domande, e molte altre, sul senso di "giustizia e ingiustizia" (non quella del tribunale ma quella che noi abbiamo sentito come tale, una volta liberatici dall'enorme fardello di proteggere i nostri genitori da se stessi e le loro incoerenze) se avranno risposte beh, allora ci aiuteranno a capirne di più sul nostro percorso.

Mi fermo qui ma ci sarebbe tanto da dire...

p.s. proprio una bella discussione!

Anonimo ha detto...

scusate i che di troppo e qualche frase inconcludente, ho pubblicato senza rileggere!

Solimano ha detto...

Credo che basterebbe rileggere quelle cinque ingiunzioni paradossali che ho tratto da quei libri -che metto anche nei commenti per comodità- e poi ricordare quante volte abbiamo sentito frasi del genere e -soprattutto- pensare a ad una efficace risposta (cosa tutt'altro che facile). Il saper metacomunicare mette sulla strada giusta. Ecco le frasi:

"Dovresti amarmi"
"Voglio che tu mi domini"
"Dovresti divertirti a giocare con i bambini, come tutti gli altri padri"
"Non essere così ubbidiente"
"Sai che sei libero di andare, caro; non preoccuparti se comincio a piangere"


Non ho detto due cose.
Dalla scuola di Palo Alto si originò la cosiddetta terapia breve, perché la psicoanalisi, allora diffusissima in America, era interminabile e costava un sacco di soldi. La terapia breve non era un bigino, ma si basava su paradossi spiazzanti che ristrutturavano la situazione psichica consentendo visuali inaspettate.
Poi c'è la scatola nera. Per loro era importante non tanto la ricostruzione dettagliata della storia psichica precedente e degli accadimenti familiari, ma quale era la reazione ad uno stimolo, come in certi ordigni elettronici di cui per capire la funzione basta vedere che output si determina dopo un certo input, quello che sta in mezzo non conta saperlo.
Quest'ultimo punto, ad esempio, è in netto contrasto con quello che dice Sabrina di certi terapeuti. La mia esperienza (che non è certo un sistema, è la mia e basta) mi dice che utile vedere i ricordi, intesi come fatti, volti, voci, sguardi, mentre non serve rivedere i pensieri che si originavano da essi. Il mulinìo dei pensieri sui ricordi va fermato: non serve a niente ma può diventare quasi inarrestabile, perché è una buona scusa per quello che vuole veramente il paziente: non cambiare a nessun costo.

saludos
Solimano

Solimano ha detto...

Ho cambiato lo scanner, così ho potuto mettere nel post la vignetta del donnone e dell'ometto.

saludos
Solimano

Anonimo ha detto...

Credo anche io che tornare indietro per restare sul passato e non avanzare non serva a nulla ma non è quello che fa la terapia, non quella che ho seguito io, almeno.
Il ricordo serve a ricostruire la nostra lettura del mondo e tornare all'età bambina è essenziale perché la nostra concezione del mondo, delle relazioni, di noi stessi in fondo non è cambiata di un gran che.

Faccio due esempi banali.
Una volta ho fatto una scenata a un mio fidanzatino perché non aveva voluto mangiare la carne che gli avevo preparato. Non aveva molta fame e, diversamente da me, odiava la carne al sangue.
Io ne ho fatto una tragedia prima di ricordarmi che da ragazzina preparavo il pranzo ai miei genitori e che, quando la pasta era salata o scotta o troppo al dente, mia madre si rifiutava di mangiarla e, non contenta, non mangiava nient'altro, saltando il pasto.
Il sentimento di ingiustizia mi è rimasto da allora ed è sfociato in una reazione che nulla aveva a che fare con il ragazzo.

Un altro esempio: c'è stato un uomo importante della mia vita, dopo la morte di mio padre. Dopo anni di una relazione contrastata ero perfettamente capace di concludere che non era l'uomo con cui volevo vivere ma ogni volta che mi sembrava di riuscire in qualcosa, di avere avuto un successo era da lui che andavo, ed ero sensibilissima ai suoi complimenti o le sue critiche.
Quest'uomo aveva preso nella mia vita il posto di mio padre, avendo gli stessi atteggiamenti nei miei confronti.
Da un lato questa storia mi ha bloccato per molto tempo ma dall'altro mi ha permesso di affrontare anche se obliquamente le "ingiustizie" subite da mio padre e di superarle almeno intellettualmente.

Credo che non basti leggere tutti i libri del mondo e nemmeno come fanno alcuni, studiare psicologia per vedersi dall'esterno come fa un buon terapeuta, di qualunque scuola sia, non si avrà mai uno sguardo così lontano da permettere di vedersi più chiaramente.

Cercare un rimedio personale mi sembra un po' come se qualcuno che non si sente bene fisicamente si mettesse a studiare medicina invece di andare dal medico.

Ho conosciuto delle persone che sono andate da un terapeuta per diversi anni senza mai concedergli la fiducia e sempre mentendo e scegliendo di che cosa parlare. Il terapeuta aspetta che scatti la molla ma sa perfettamente chi ha di fronte.
Mi ricordo anche la mia terapeuta mi diceva spesso - se ne hai bisogno, non esitare a chiamarmi, in qualsiasi momento. Me lo ha ripetuto per mesi, poi dopo quasi un anno l'ho chiamata piangendo come un vitello, il cuore infranto.
- Non puoi immaginare quanto sia felice, ha trillato lei,finalmente mi accordi un po' di fiducia! Lo ricordo ancora con grande gioia, quel momento.



Ripeto, per andare dal terapeuta bisogna sentirsi disperati ed essere disponibili a mettersi nudi, nella poltrona di fronte a lui.

Anonimo ha detto...

Beh, io ero più che disperato, e uno psicoterapeuta mi ha salvato la vita.
Non è un gran contributo alla discussione, me ne rendo conto.
Prendetelo come un dato statistico :-)