martedì 20 gennaio 2009

La verità su Calciopoli

Giuliano

I calciatori si vendono le partite. Non tutti, e non tutte le partite: ma lo fanno. Lo facevano trent’anni fa, quando le scommesse erano vietate e c’era solo il Totocalcio, figuriamoci oggi che non solo il giro di denaro è decuplicato, ma che scommettere è diventato lecito. In teoria, ai calciatori sarebbe vietato: ma se un calciatore mi passa un’informazione e mi dice “metti questi soldi sul risultato finale di sconfitta per la mia squadra”, chi mai verrà a dirmi qualcosa? Io col calcio non c’entro niente, ho scommesso quei soldi ma per mio personalissimo capriccio.
La scena tipica è questa: mancano pochi minuti alla fine e un calciatore appena entrato segna il gol della vittoria, o del pareggio; i suoi colleghi, invece di festeggiarlo, lo guardano in cagnesco e gli fanno segni eloquenti del genere “poi ti sistemo”. Alle volte (ma è raro) scappano anche i cazzotti, ovviamente ripresi dalla telecamere. Cosa ci sia dietro è facile da capire; ma poi si trovano mille scuse, si invocano dissapori personali (“mi ha rubato la morosa”), si aprono inchieste che poi finiscono in nulla o squalificando questo o quello, un po’ a capocchia, giusto per far vedere come va.
Ci sono anche dei casi patetici: mi ricordo un giovane brasiliano appena arrivato in Italia (si chiama Tuta: bel nome per un calciatore), che forse non capiva nemmeno la lingua, ma che entrò negli ultimi cinque minuti e fece un gol prodigioso e insperato. Convinto che i colleghi gli facessero una gran festa, esultò e si mise a correre: ma gli altri lo avevano mandato a quel paese ed erano già tornati mesti a centrocampo (una partita di serie A: Tuta gioca ancora, ma in Brasile).
Ci sono anche dei casi così clamorosi che sono perfino divertenti: una squadra di calcio (molto importante) che fa dodici o tredici pareggi in fila, stabilendo un record ineguagliabile. Ora, che una squadra perda molte partite di fila, ci può stare: se è molto debole, se ci sono problemi interni. Idem per una squadra che vince molte partite in fila: se è molto forte, ci sarebbe casomai da sospettare del contrario (cioè lo zero a zero con l’ultima in classifica). Ma dieci pareggi di fila, via: è come se gettando una moneta cadesse dieci volte di fila dalla stessa parte, o se gettando i dadi uscisse sempre sette. Un sospetto dovrebbe venire...
Invece le anime candide (beh, insomma: si fa per dire) se la prendono sempre con l’arbitro, responsabile di tutti i misfatti: ma per vincere le partite è molto più facile corrompere un difensore avversario, meglio ancora se è il portiere. Il difensore ha un attimo di esitazione, ed è fatta: il giorno dopo i giornali e le tv parleranno solo della prodezza di Ibrahimovic, o di Kakà. Che notoriamente sono dei campioni, non è colpa di quel poveretto del difensore se tecnicamente non è all’altezza dei grandi... E che dire del portiere che si fa sfuggire la palla? “Papera del portiere”, e la cosa finisce lì, magari con un po’ di teatrino in campo a fingere disperazione. Perché poi sono cose che capitano, il calcio onesto è fatto anche di queste cose: poi vai un po’ a vedere se ho fatto apposta a farmi fare un tunnel o a farmi scappare la palla tra le dita...
Una terza cosa che so, da tempo, è che i campionati sono sempre un po’ pilotati dall’alto. Mi ricordo di quando avevo 12-15 anni e seguivo tutto con molta attenzione: con il campionato “corto”, a 16 squadre, bastava poco per vedere anche le grandi (spesso la Roma, il Napoli, la Fiorentina; qualche volta anche il Milan e l’Inter) finire in zona retrocessione. Ma le grandi non retrocedevano mai: dopo un po’ mi sono accorto facilmente che a retrocedere erano sempre le stesse, l’Atalanta, il Foggia, il Varese, il Verona, la Sampdoria, una delle siciliane... Misteriosamente, squadre che avevano segnato nove gol in venti partite cominciavano a segnare gol a grappoli; misteriosamente, squadre che fin lì si erano comportate molto bene cominciavano a subire batoste. Come poteva essere? C’era dietro una ragione pratica, comprensibile: il campionato ha più fascino se ci sono le grandi città. Ma con qualche eccezione curiosa: per esempio, la Lazio poteva retrocedere, la Roma no. Misteri? Mica tanto, ma qui mi fermo se no mi scappa da ridere: calcio e politica sono sempre state strettamente legate, e provate a pensare a un tifoso eccellente della Roma... (ce ne sarebbe ancora da dire, magari continuo nei commenti).
(le vignette di Jacovitti vengono dal Corriere dei Piccoli, anno 1969)

2 commenti:

Solimano ha detto...

Ci hanno rubato due sport, Giuliano, il calcio ed il ciclismo, ed io ero ancor più appassionato per il ciclismo. Ho capito qual è uno dei problemi dei giocatori di pallone, me l'ha spiegato un mio collega che era stato nelle giovanili di una squadra di Serie A, l'Inter. Li prendono da ragazzi, li mettono l'uno contro l'altro, perché emerge uno su dieci. In compenso gli fanno tutto loro, in modo che pensino solo al pallone. Così rimangono generalmente con la testa di un bambino, proprio non si rendono conto, salvo eccezioni. Il mio collega smise perché ebbe una frattura, e quasi quasi diceva: "Meno male!"

saludos
Solimano

Giuliano ha detto...

Eh sì, Solimano, il ciclismo... Qui oltretutto si aggiunge una classe dirigente a dir poco sconcertante.
Se infatti nel calcio ho notato che Michel Platini (presidente dell'UEFA) ha ben chiari questi problemi e cerca di risolverli (nella sua ultima intervista ha posto tra i principali problemi proprio le scommesse: certe cose le sa e le conosce bene), i dirigenti del ciclismo sono sconcertanti.
Non è ammissibile che, da dieci anni a questa parte, il vincitore del Tour sia sempre a rischio di essere arrestato... Non è possibile che Pantani abbia fatto la fine che ha fatto, e che si continui a parlare di Indurain come un grande campione.
Fa rabbia, ormai chi lo segue più il ciclismo? L'istinto c'è ancora, ma poi giro pagina, cambio canale, amen.

E se cominciamo a parlare di moto e di macchine...