sabato 22 novembre 2008

Concorsi blindati

mazapegul

I concorsi truccati esistono: sono quelli che piacciono di più ai giornalisti perchè c'è uno scandalo facile da scrivere e da capire. Il problema dell'università italiana è però quello dei concorsi blindati. Non tanto perchè le commissioni, stiracchiando la legge al limite del lecito, facciano vincere chi vogliano; quanto per i motivi per cui tanto ci tengono a far vincere questo o quello.
L'ovvia idea di assumere la persona che può dare più all'università, o al dipartimento, non è quasi mai considerata seriamente. Piuttosto, vige l'opinione che "ciò che è buono per me (il professore che organizza la procedura concorsuale) è per forza di cose buono per l'università" (e per il contribuente che paga). Ciò che è buono per il professore è quasi sempre un suo stretto collaboratore, uno che abbia la giusta mistura di meriti didattici e scientifici, e di "affidabilità" (già, proprio come nei partiti!), cioè di cieca fedeltà al capo. Ha anche una sua importanza l'aver maturato, soprattutto nei confronti dei precari, rilevanti debiti di riconoscenza, specie quando questi precari -quali che siano i loro meriti scientifici- abbiano svolto manovalanza a beneficio del professore per anni, spesso malpagati. A questo punto, si cerca di liberarsi dal debito con un posto fisso, sempre a spese del contribuente.
Questi meccanismi sono perfettamente compatibili con un'università funzionante, e neanche troppo male. Il problema è che quella stessa università potrebbe funzionare molto, ma molto meglio.
(1) Questa procedura lascia ai margini persone magari brillanti, ma che non hanno mostrato le doti di affidabilità richieste, o che siano troppo indipendenti nel lavoro di ricerca, o il cui professore di riferimento debba "saltare il turno" per quella stagione concorsuale.
(2) L'idea che vengano premiati quelli che fanno manovalanza di vario tipo incoraggia le persone a stare ferme vicino al proprio professore, piuttosto che girare il mondo in cerca d'esperienze. Se stanno lontane troppo a lungo, rischiano di tornare "in fondo alla fila".
(3) Con questo modo di procedere si favoriscono le "scuole", in cui un professore ha sotto di sé diverse generazioni di allievi, tutti con la stessa formazione; gente che non ha mai messo piede fuori dal proprio dipartimento. Più il professore è bravo, meno l'allievo ha la possibilità di mostrare nei primi anni dopo la laurea il proprio valore: tutto quello che sa lo sa anche il suo maestro, che ne sa anche di più. Magari passano vent' anni prima che l'allievo possa dire qualcosa di veramente nuovo, ammesso che dopo tanto tempo abbia qualcosa da dire. Per questo motivo, molte scuole scientifiche italiane vanno incontro a sclerosi precoce.
Ho letto diversi bandi di concorso, negli ultimi tempi, e tutti dicono di preferire persone che "rafforzino settori forti del dipartimento". Mai nessuno che dica: "vogliamo qualcuno che faccia cose che oggi noi non sappiamo fare, ma che vorremmo tanto imparare"!
(4) Sapere che molti concorsi sono blindati è demotivante in sé, e spinge molti ricercatori al conformismo e al rispetto del principio di autorità. All'opposto delle ragioni per cui quasi tutti quei ricercatori, nel corso della loro adolescenza, accarezzarono per la prima volta l'idea di intraprendere il mestiere della scienza.

Quando s'entra poi nei meccanismi e nei dettagli delle blindature, ci si ritrova in una palude di ristagnante amoralità, che rispecchia la sociologia spicciola del nostro paese al suo peggio. Va detto che esistono anche concorsi non blindati, e che ultimamente -nel mio campo- un certo numero di professori (perlopiù quarantenni) ha organizzato procedure concorsuali pubblicizzando la natura "aperta" della gara, in modo da avere la maggior varietà e il maggior numero di partecipanti, per poter scegliere veramente il meglio. Non mi risulta che abbiano trovato ostacoli e che la procedura concorsuale di legge, seguita in lettera e spirito, abbia ben servito i loro scopi: a conferma che il guasto non sta nelle leggi, quanto nell'ambiente che le applica.

4 commenti:

Giuliano ha detto...

Caro Nicola, spesso anche la vita è blindata.

Roby ha detto...

Ho partecipato anch'io ad un concorso universitario del genere, "allucchettato" ben bene, circa 15 anni fa. Già si sapeva chi (plurale, perchè erano in 2) avrebbe vinto, ma il professore aveva messo in giro abilmente la voce (rivelatasi poi ovviamente falsa) che "sarebbe saltato fuori qualche altro posto oltre quelli". Così a partecipare fummo in una ventina. Dei due prescelti, solo uno si trova ancora lì: l'altro, dopo pochi anni, ha preferito tornare alla carriera di insegnante. Io arrivai terza (ma va'?): di quei posti in più sto tuttora aspettando notizie...

Roby

PS: mi sorge un dubbio: non sarà che -se mancava un numero minimo di partecipanti- il concorso sarebbe stato annullato e il professore avrebbe dovuto rinunciare ai suoi pupilli???

mazapegul ha detto...

Roby: nel ramo cosiddetto "umanistico" (perchè lì i comportamenti sono molto più disumani) le cosa stanno anche peggio che nel giro delle scienze.
La posizione "primo dei non vincenti" è spesso un attestato di merito che, pur non portando con sè un reddito, dal punto di vista scientifico vuol dire aver vinto la gara.

Solimano ha detto...

Màz, argomento importante, cerco di dire qualcosa che ho sperimentato sulla mia pelle (nel bene e nel male).
1. Il discorso dell'affidabilità non esiste solo in politica o nelle università, esiste anche nelle aziende, in cui ha più giustificazioni. Però nelle aziende grandi e ben gestite esistevano (esistono?)gli anticorpi. Faccio un caso personale, il mio. Non ero ritenuto (quasi certamente a ragione) molto affidabile, il che significava ridotte possibilità di carriera manageriale, e vabbè. Ma per altri aspetti, che all'azienda interessavano, ero stimato, e quindi venivo utilizzato e premiato per quegli aspetti, il che è ben diverso dalle compensazioni di sedie che si fanno in politica per ragioni del tutto strumentali. Così si era creato un circolo positivo: io facevo quello che mi piaceva, e l'azienda mi utilizzava nell'ambito a me gradito perché lo trovava utile per sé. Questo per dire che l'affidabilità da un punto di vista aziendale è un aspetto importante, mentre in politica e nelle università affidabilità vuol dire appartenere ad una cordata capeggiata da una persona.
2. Il guaio grosso lo tocco con mano tutti i giorni in rete: in Italia, quelli che dovrebbero fare il lavoro di scavo, il lavoro curioso, il lavoro utile, ad esempio nella divulgazione (storia dell'arte, letteratura etc) lo fanno poco, male e a bocca storta, perché la loro inevitabile priorità è il rispondere alle esigenze del loro capo cordata, che ha in mano la loro sorte e che (ed è questa la cosa più grave) considera la divulgazione come l'ultima delle sue priorità. All'estero non è così, e si vede. Paradossalmente questo lascia largo spazio ai dilettanti (fra tanti il caso di Giuliano ed il mio) che cercando di non essere dilettanteschi trovano di fronte a sé una possibilità di ascolto che altrimenti non avrebbero.
3. Per quello che riguarda la matematica, credo che si difenda abbastanza da sola, pur con certe limitazioni, per due motivi, che non ci sono grossi budget, e che la verità salta fuori, è difficile truccare gli argomenti.

grazie Màz e saludos
Solimano