martedì 23 dicembre 2008

Ritratti di signore: Giulietta Masina

Sgnapis

La strada, di Federico Fellini (1954) Sceneggiatura di Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli Con Anthony Quinn, Giulietta Masina, Richard Basehart, Aldo Silvani, Marcella Rovere, Livia Venturini, Gustavo Giorgi, Yami Kamadeva, Mario Passante, Anna Primula Musica: Nino Rota Fotografia: Otello Martelli, Carlo Carlini (108 minuti) Rating IMDb: 8.1

La strada è un film la cui naturale proiezione sarebbe dentro una palla di vetro in cui, una volta capovolta, magicamente, da un improbabile cielo cade una fitta neve. Anche se è agosto.
Come in un sogno.
Tra brutalità e poesia, fisicità e pensiero, due anime contrapposte, legate da una vita in comune priva di gentilezze, Zampanò la concretezza, Gelsomina il sentimento, sono talmente rappresentativi da ergersi a simboli: il male e il bene.


Giulietta Masina, trentaquattrenne, tratteggia con estrema naturalezza, a volte un po’ maldestra, un personaggio incantato e incantevole, spaventato e indifeso da sembrare un cucciolo malgrado in alcuni fermo immagine trapeli un’espressione di donna così vissuta da trattenere in sé tutte le verità del mondo.
Sono momenti fugaci, quasi impercettibili che affiorano malgrado lo sguardo candido, come non dovessero appartenere a questo esserino privo di femminilità ma grazioso, spesso buffo che ricorda a tratti Marcellino o addirittura Pinocchio.
Il linguaggio onirico e grottesco che Fellini predilige nella narrazione, obbliga la moglie ad indossare una maschera clownesca, cosa che pare naturale alla brava Masina, per spogliarla così di ogni riferimento terreno e mantenerla in un limbo simbolico e universalmente riconoscibile.
Gli elementi circensi, tanto amati dal Maestro, sono già presenti in questo splendido film in cui Zampanò è il crudele Augusto, il capo avvolto da cieca ottusità e presunzione, e il Matto, “il filosofo”, il funambolo, il Grillo parlante, colui che saprà stare in equilibrio sulla corda tesa tra due mondi così diversi: terreno, pragmatico, pieno di bruta fisicità per Zampanò e quello altrettanto ingenuo, informe, spirituale e umano di Gelsomina.




Lei rappresenta la figura marginale un po' ridicola, già ha la faccia da carciofo, le dice il Matto, prendendola in giro, ma un po' è vero, truccata per far sorridere i bambini, col risultato che questo volto dai pomelli rossi e i capelli color polenta, risulta di una tristezza infinita.
E non può che essere così.
Venduta per diecimila lire dalla madre a questo saltimbanco gretto e primitivo, Gelsomina accetta di seguirlo in giro per un'Italia distrutta dalla guerra, su un improbabile carrozzone a tre ruote ricavato da un sidecar infestato di pulci, dove l'igiene e il docoro non sono di casa. Viene trattata come un animale, perfino percossa, ma nel suo intimo anela ad un riconoscimento del suo sentire che la elevi ad essere umano. Non cerca il lusso, non cerca il successo, sempre servile, sempre obbediente, riconoscente come un cane al padrone, ritorna a Zampanò, convinta che lui malgrado tutto le voglia bene e soprattutto che solo lei lo possa amare per quel che è. Lei lo guarda con gli occhi di chi vuole e sa guardare oltre o forse con l'igenuità dei matti o degli idealisti o di coloro che vogliono semplicemente essere amati e basta.
Colei che riesce a dimenticare le angustie della vita perdendosi in una tana di un grillo, o seguendo saltellante dei musici sghangerati, da sembrare Charlot, vuole capire qual' è lo scopo della sua vita.
Zampanò nemmeno se le pone certe domande. Lui sa tutto ciò che deve sapere, dalla tenuta di strada del suo sidecar, all'ampiezza del suo torace, dalla capacità di chiamare a raccolta il pubblico, alla tenuta della catena che deve spezzare con al potenza dei suoi muscoli.



Da questa forma d’amore impari e ingrata, da questo rapporto che non lascia spazio alla comprensione alcuna, scaturirà la tragedia con epilogo di dolore e solitudine.
E pentimento.
Sì perchè la morale alla fine c'è, e insegna che la verità non è solo ciò che si vede.
Lo capirà perfino il rozzo Zampanò, che una volta abbandonata Gelsomina al ciglio di una strada dimenticandosi di lei, condurrà però un'esistenza sempre più gretta e misera, fino a quando verrà a sapere che Gelsomina è morta e questo come per incanto spezzerà la pietra che gli attagnaglia il cuore donandogli un barlume di umanità.
Allora il pentimento, mai provato prima, mai riconosciuto, farà di Zampanò un uomo in lacrime e redento. Il bravissimo Quinn alzerà il volto al cielo, quasi avesse una rivelazione divina nel vedere per la prima volta il firmamento, prima di crollare in un pianto dirotto e sconsolato.
Criticato aspramente dalla sinistra di allora per la rappresentazione di una condizione femminile svilita e svilente e per lesa realtà la critica maggiore che viene mossa al Maestro è la mancanza di rispondenze storiche e geografiche che collochino la storia in una contesto reale. La caparbietà con la quale rimane ancorato ad una ricerca interiore troppo vincolata all'autobiografia, ad linguaggio esageratamente simbolico ed allegorico con cui racconta le sue paure e i suoi tormenti giovanili, regala sì un sogno, che non ha però alcun riscontro culturale e ideologico. Il male di cui viene accusato è la nostalgia che rappresenta in ogni pellicola, amata dal pubblico perchè si riconosce, ma che trasuda un'indulgenza e una leggerezza che stridono non poco con le splendide pellicole del neorealismo italiano. Tuttavia, contemporaneamente proprio questi "difetti" tracciano un nuovo percorso cinematografico, una nuova dimensione trascendente e rappresentativa perchè affondano nell'immaginario e nel ricordo collettivo proprio con la potenza di essere fuori dalla realtà . Raccontano così di ciò che avrebbe potuto essere, di ciò che sarebbe stato, di ciò che si ricorda sia stato, di ciò che si sarebbe desiderato che fosse.


Giulietta Anna Masina, laureata in lettere e filosofia cominciò a recitare in teatro all'età di 21 anni dove si esibì come ballerina, cantante, e attrice. E fu in radio che conobbe Fellini redattore umorista di una rivista satirica. Lo sposò il 30 ottobre del 1943. Reciterà in teatro fino al '51. Nel '46 comincia la sua carriera cinamatografica in Paisà di Rossellini, prosegue con Lattuada in Senza pietà, (Nastro d'Argento) col marito nel '50 in Luci del varietà (Nastro d'Argento) nel '51 nè Lo sceicco bianco, ma è nel '54 che raggiunge la notorietà a livello mondiale con il ruolo di Gelsomina nel film La strada.
Nel '57 raggiunge l'apice della carriera col ruolo interpretato in modo magistrale di Cabiria in Le notti di Cabiria. Anche questo ruolo le valse il Nastro d'Argento e premio come migliore attrice al Festival di Cannes dello stesso anno. Altro Nastro per Ginger e Fred del 1986 e il David di Donatello per Giulietta degli spiriti 1965/66.
Giulietta Masina è la rappresentazione vivente della grande donna in ombra al grande uomo. Non dotata di un fisico particolarmente prorompente si è ha sempre avuto la sensazione che se non avesse deciso di dedicarsi al marito avrebbe ottenuto molto di più dalla sua carriera cinematografica perchè era un'attrice di altissima sensibilità e con uno sguardo tutto particolare che io associo per peculiarità alla Magnani. Donne di grande temperamento anche se la Masina al contrario dell'amica è sempre apparsa mite e dolce, ma con una determinazione e una capacità di tener testa al volubile marito degna di un'imperatrice. Per questo ho ritenuto un bel gesto, quello del Maestro Fellini di dedicarle l'Oscar alla carriera, riconosciutogli nel 1993, che lei accettò, commossa.


7 commenti:

Giuliano ha detto...

Cara Sgnapis, questo è il MIO film. Se dovessi indicarne tre, "La strada" sarebbe al primo posto; poi "Moby Dick" di John Huston e "Il settimo sigillo" di Bergman.
Sono tre film che ho visto da bambino e che mi hanno impressionato molto. So che è stato così per molti: allora i capolavori si mettevano in prima serata, alla tv.

Quanto alla Masina, l'ho sempre trovata bella e molto fine. Non mi stupisce che il buon Federico se la sia tenuta stretta, anche con tutto quel via vai che aveva sottomano quotidianamente...

annarita ha detto...

Sgnapis, hai toccato un punto delicato nei nostri precordi regalandoci questo ritratto di Giulietta Masina. Ho versato lacrime infantili su questa storia, che ha contribuito a farmi detestare il mondo del circo e dei saltimbanchi in genere. Col senno dell'adulta riconosco il valore artistico del film e mi dispiace per le critiche ottuse che ricevette.

Per imitare Giuliano aggiungo che i primi miei tre film preferiti sono La voce nella tempesta di William Wyler, Il settimo sigillo di Bergman, (mi associo) e Metropolis di Fritz Lang.
Mi fermo qui perché la lista sarebbe lunga.

Post misurato e esauriente, grazie! Un bacione, Annarita.

Anonimo ha detto...

La strada è un film la cui naturale proiezione sarebbe dentro una palla di vetro in cui, una volta capovolta, magicamente, da un improbabile cielo cade una fitta neve. Anche se è agosto.
Come in un sogno.


Vedi, a me basta questo, perché sul film e Giulietta, che adoro, non ho nulla da dire.
Stamattina, e mi dovete credere, un amico mi ha chiesto: "Ma scusa, scrivi già in un sacco di posti e con soddisfazione, perché anche questo blog?"
Ho risposto: "Per imparare".
Ecco.
Grazie Silvia per il tuo incipit.
[non mi viene neanche una battuta, perdo punti vero? (magari no...) :-)]
Forse ti chiederai il motivo dell'uso della parentesi quadra, ma sono sicuro che Mazapegul sarà estremamente esauriente anche sulle graffe...mentre io potrei essere docente di gaffe e la smetto qui altrimenti mi perdo in rime insensate e a quel paese mi mandate.

Giuliano ha detto...

In quegli anni, i capolavori del cinema italiano ricevevano critiche assurde: penso che Andreotti abbia messo anche i film di Fellini, oltre a "Ladri di biciclette", nel calderone del "non dobbiamo andare in giro per il mondo a mostrare le nostre magagne".
Oggi con Berlusconi sembrano tornare quei tempi...

PS: in due dei film che ho citato recita Richard Basehart. Care donne, come mai l'avete dimenticato?

Anonimo ha detto...

@Giuliano, anche per me questo film ha un posto particolare nel mio cuore, infatti ne ho scritto molto volentieri.
E concordo su Il settimo sigillo perchè ne rimasi folgorata per significato e costruzione. Io adoro Bergman. Ma la medaglia di bronzo, che a dire il vero potrei dare a molti titoli, la attribuisco volentieri a Piccolo grande uomo che mi ha intenerito e affascinato, facendomi vedere per la prima volta l'altra faccia della medaglia.
Moby Dick mi è piaciuto molto ma questa balena enorme con gli occhi ferocissimi mi ha fatto tanta paura. La Masina e la Magnani sono le mie attrici preferite, sanno di pane, di sangue e sanno parlare tutte le lingue del mondo.

@Annina, anche Metropolis è un film bellissimo che mi rimanda a Tempi moderni del grande Chaplin.
Difficile scegliere IL film perchè esistono tanti capolavori cinematografici. Pensa che io ho una passione per Dracula di Bram Stoker di Coppola. Nessuno la condivide ma io lo ritengo ugualmente un gioiellino.
Fellini venne pesantemente criticato per questo film è vero però divenne l'icona che lo rappresentò nel mondo assieme a Otto e mezzo.
Grazie, una bacione anche a te:)

@Grazie Am, un bellissimo complimento, mi fai arrossire...che nel mio caso è assai raro!
Hai ragione qui siamo anche per imparare, molte cose.
Sapessi quante ne sto imparando da voi! Grazie ancora.

@Un grande grazie a Solimano per due motivi. Il primo perchè ha illustrato in modo perfetto il mio scritto, il secondo perchè è sempre un pungolo, uno stimolatore di neuroni, un vulcano di idee.
Instancabile e coinvolgente. Lo ringrazio per avermi voluta tra voi. Ci sto bene.

Anonimo ha detto...

Perchè a me Besehart non muove particolari pulsioni. Bravo, ma che potrei dimenticare facilmente. Infatti...

Solimano ha detto...

Silvia, è venuta una bella e giusta cosa, e ti ho dato volentierissimo una piccola mano, e così sarà in futuro, basta che scegliate il Ritratto di signora o il Ritratto di signore ad hoc... A proposito... guarda guarda... Annarita, hai presente, vero, Laurence Olivier ne La voce della tempesta o Toshiro Mifune ne I sette samurai? Scegli uno dei due. Sono sicuro che sceglierai quell'antipatico di Laurence, a quel punto il Kicuchio (il samurai contadino) fatto da Mifune lo facciamo o io o Giuliano. Questo non è divismo, sono miti sani che permettono di esprimere efficacemente alcune parti di noi stessi, parti di cui fatichiamo a parlare direttamente. E' questo il motivo di fondo perché restiamo così coinvolti dall'esperienza con certi film: siamo noi gli attori degli attori dei personaggi. L'ho messa giù un po' intorcinata ma mi avete certamente capito più di quello che io abbia capito di me stesso...

grazie Silvia e saludos
Solimano