mercoledì 30 dicembre 2009

Nella Tempesta di Giorgione

Gauss

L’altro ieri, bella e intrigante gita a Castelfranco Veneto per la mostra di Giorgione, allestita nella casa che prende il suo nome. In un edificio di modeste dimensioni, in tutto una decina di stanze di nessuna monumentalità, i curatori riescono a raccogliere e presentare una rassegna di straordinario valore. Sono un centinaio di opere, di cui una quindicina interamente o parzialmente attribuite a Giorgione, le altre di autori che in qualche modo lo precorrono (sopra tutti Dürer), o lo accompagnano e lo seguono (fra questi il Catena, Giambellino, Sebastiano del Piombo, Tiziano).
La casa è detta di Giorgione perché si suppone che vi abbia vissuto per un periodo della sua età giovanile. Si suppone. Non è sicuro che quella casa lo abbia veramente ospitato, tanto meno che vi abbia affrescato una parte del fregio che illustra una delle sue stanze. Perfino il nome degli Albarella, i proprietari della casa, è messo in discussione. A proposito di Giorgione tutto è incerto, e nel suo mistero sono avvolte insieme a lui anche le cose, i fatti, le persone che lo riguardano. Della celebre Pala di Castelfranco, esposta nel Duomo che è contiguo alla casa di Giorgione, un’ampia documentazione rivela il committente (il condottiero Tuzio Costanzo) e le ragioni della committenza (in onore del figlio Matteo), nessuna l’autore, né il soggetto.

Insomma, Giorgione sembra poco più di un nome, peraltro senza cognome, una costruzione del pensiero più che una figura della storia, una personificazione più che una persona. Nessun segno tangibile, nessuna testimonianza coeva, nessun documento autografo, nessuna opera firmata, solo qualche vaga notizia indiretta. Giorgione esiste nelle sue opere, e se è vero che tutti i pittori parlano con la loro pittura, Giorgione “è” la sua pittura, Giorgione “è” la Tempesta. Paradossalmente: “chiamasi convenzionalmente Giorgione l’autore del dipinto noto come la Tempesta”.



Questa lunga premessa non impedisce che Giorgione sia considerato la gloria di Castelfranco Veneto, e chi insinua che addirittura non sia nato a Castelfranco non si arrischi dentro le sue rosse mura.

Se l’autore è un mistero, la sua opera è un enigma. I riferimenti stilistici sono labili, l’identificazione dei personaggi impossibile, figure perfette e insieme inquietanti, che vivono nell’astrazione, vicine perché partecipi dell’atmosfera, della celebre luce tonale, dell’abbraccio naturale in cui sono immerse, e tuttavia lontanissime nell’autonoma indifferenza dell’una alle ragioni e alle sorti dell’altra.

Delle teosofie neoplatoniche, delle teorie alchemiche ed ermetiche, in una parola della matrice eretica che può aver informato l’arte di Giorgione (e che gli ha probabilmente negato committenze ecclesiastiche) sono piene le biblioteche del mondo. E tuttavia (una sensazione simile a quella che ricordo di aver provato ogni volta che ho visitato il Castel del Monte) davanti alla Tempesta l’osservatore cade preda di una indicibile fascinazione, un rapimento, un inspiegabile e quasi inconfessabile turbamento, come se il tumulto del cielo in tempesta sconvolgesse anche lui.
Già altre opere attribuite a Giorgione, la Pala di Castelfranco, i Tre Filosofi, le Tre età dell'uomo, sembrano ispirarsi al principio cabbalistico proprio anche della teologia cristiana per il quale “Omne trinum est perfectum”. Nella Tempesta, ai vertici della trinità sono il giovane in posizione eretta, la nuda giunone col bimbo al seno e in alto, a dominare la scena, la vampa che squarcia l'aria e riverbera sulla natura e sulle costruzioni dell’uomo. Come interpretare, come spiegare senza perdersi? La donna che allatta come fertilità creatrice, l’uomo appartato e malinconicamente assorto come ragione e sapienza, e il fulmine nel cielo come spirito che svela e giustifica?

Gauss

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